Il 18 luglio 2007, mercoledì, son trascorsi già due anni e sette mesi, si è svolta una serata per commemorare il poeta Matteo Paviglianiti a 51 anni dalla sua morte (Reggio Calabria il 1/5/1874 - 11 novembre 1956).
Una commemorazione voluta dall'allora assessore alla cultura Fabrizio Veneziano e dalla dottoressa Loreley Rosita Borruto responsabile e coordinatrice dell'ENS Calabria, per la quale ha relazionato la professoressa Francesca Neri che ha saputo brillantemente far emergere il poeta nella realtà della sua vita. Versi delle poesie sono stati declamati da Domenico Errigo, Salvatore Saffioti e Domenico Sgrò. Salvatore Marrari, pronipote del poeta, invece, ne ha curato la parte biografica, usando la raccolta di documenti originali in suo possesso data la parentela col poeta "Don Matteo"e ha letto una particolare e significativa poesia : " Tra cummari", tratta dal libro "U specchiu da vita".
L'indimenticato Matteo Paviglianiti ha dedicato la sua vita al lavoro di barbiere, alla poesia dialettale ed all'allora emergente politica socialista. Autodidatta, ma finedicitore e filosofo, cantore in positivo della realtà geografica reggina, Matteo era un fedele, non ecclesiastico, del buon Dio presente in ogni suo verso. Le sue pubblicazioni, oggi conservate alla biblioteca comunale della città, sono "U specchiu da vita" e "Lacrimi". Fu tra gli otto fondatori del Partito Socialista di Reggio Calabria, ove si riunivano in clandestinità come cooperativa "Vittorio Veneto" e che, successivamente, cambiarono in "La Vittoria", nella "Piazzetta" oggi "Piazza Italia". Il suo salotto era quella parte della città che va dal Calopinace sino a Piazza Camagna e nel suo negozio sito in Via Apromonte n° 10 (la strada che da piazza Garibaldi porta ai mercati generali o, se vogliamo, alle scuole elementari Edmondo De Amicis). Quì, nei Bar Giorgio ( 'u bar du' pupu chi ddhiccava 'u gelatu), accanto alla casa delle bibite "Quattrone" ( famosa pi' cazzusi ca' pallina) e Margheriti, entranbi di fronte alla Villa Comunale Umberto Primo, s'incontravano gli intellettuali del tempo ed il poeta veniva attorniato da giovani emergenti quali : Nicola Giunta, Franco Saccà, Domenico Martino, Giuseppe Morabito, Gaetano Cingari, i professori e cugini, Francesco De Stefano (barbitta) e Domenico De Stefano (Prof di lettere e filosofia), autore, tra l'altro, di una dispensa del 1949 intitolata "La poesia di Matteo Paviglianiti".
Con Nicola Giunta, ventuno anni più giovane, era nata un'amicizia seria e burlona, caratterizzata da una serie di aneddoti, che durò quasi mezzo secolo, sino alla morte del poeta, occasione ultima per Giunta e Cingari, per tenere entrambi il discorso di estremo saluto per l'amico e ispiratore, là in Piazza Castello, dove i Socialisti avevano portato ed accompagnato il feretro dal Calopinace (abitazione del defunto), percorrendo quella parte di Corso Garibaldi che era stata il "Salotto di Don Matteo". Quivi tutti i proprietari degli esercizi pubblici, al suo passaggio chiusero i negozi in segno di lutto, commentando, in lacrime, la perdita di un grande amico che usava verseggiare al loro giornaliero incontro. C'è da dire che il prete pro tempore, della vecchia chiesa del Sacro Cuore, non volle benedire la salma ne presenziare ai funerali perchè il defunto era socialista. I compagni di partito, allora, dirottarono i funerali sino a Piazza Duomo, come una scena da film di "Don Camillo e l'Onorevole Peppone". Erano di quelle cose che, facilmente, accadevano nella vita pratica, ma senza la minima violenza, sta di fatto che Matteo Paviglianiti fu "purgato" in vita e in morte, nella clandestinità della Piazzetta e nel suo trapasso. Dopo tanti anni dalla scomparsa, i reggini lo ricordano ancora per quello che il poeta era : un uomo mite e buono, solo coi suoi pensieri di gioventù, quando aveva amato Elena Stracuzzi, gentil donna costretta poi, dalla famiglia, a maritarsi ad un sottufficile di cavalleria ed a vivere a Pinerolo. Questo tra gli altri suoi dolori, guerre e terremoto del 1908 che gli fecero perdere parte dei suoi familiari, lo resero cardiopatico, non sposò e tenne, nella sua cameretta, una piccola foto della sua donna che non dimenticò mai. A volte, ricordo, alla domanda perché non si fosse più accasato rispondeva che la sua unica fidanzata era morta di tubercolosi ed aveva inteso renderle onore rimanendo scapolo e devoto sino alla morte. Nel 1960, Elena, rimasta vedova, ritorna a Reggio Calabria, lo cerca presso il nipote Domenico Marrari, ma non può far altro che constatare che il suo Matteo era già passato a miglior vita.
Il tempo affievolisce i dolori di Don Matteo, un uomo di grande energia mentale, dall'aspetto pirandelliano, pur non facendoli dimenticare, testimoni i versi che lasciò prima di morire su un biglietto lasciato dentro un cassetto del suo comodino : " Amore, carità e perdono furono la mia fede", si possono leggere, ancora oggi, sullo sbiadito marmo della sua tomba nel cimitero di Condera in Reggio Calabria.
Salvatore Marrari RC 3 Marzo 2010
e tu l'erede ru ziu...
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