La leggenda di Colapesce è una leggenda diffusa nell'Italia meridionale con molte varianti, le cui prime attestazioni risalgono al XII secolo.
Le prime attestazioni della leggenda sono nel XII del poeta franco provenzale Raimon Jordan, che canta di un "Nichola de Bar" che viveva come un pesce.
Tra il XII e il XIII il canonico inglese Walter Map riferisce di "Nicolaus", soprannominato "Pipe" che viveva nel mare riuscendo a restarci senza respirare. Andava alla ricerca di cose preziose nei fondali. Quando il re di Sicilia Guglielmo II volle conoscerlo, attirato fuori dal mare, morì tra le braccia di chi lo voleva portare dal re.
Un altro monaco inglese contemporaneo, Gervasio di Tilbury, riferisce di "Nicolaus", soprannominato "Papa", un abile marinaio, pugliese di nascita, che il re di Sicilia Ruggero II costrinse a scendere nel mare del Faro per esplorare gli abissi. Sotto le acque il nuotatore scoprì monti, valli, boschi, campi ed alberi ghiandiferi. Ai naviganti di passaggio "Nicolaus" chiese dell'olio per poter osservare meglio il fondo marino.
Un altro frate, Salimbene de Adam, da Parma, nel XIII secolo, narrava la leggenda del re di Sicilia Federico II che ordinava a Nicola, nuotatore messinese, di riportargli una coppa d'oro che scagliava sempre più in profondità finché Nicola scomparve negli abissi. Per la prima volta compare il personaggio della madre che malediceva Nicola.
La leggenda siciliana nella sua versione più conosciuta, quella palermitana, si narra di un certo Nicola (Cola di Messina), figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la sua abilità nel muoversi in acqua; di ritorno dalle sue numerose immersioni in mare si soffermava a raccontare le meraviglie viste e, talvolta, a riportare tesori.
La sua fama arrivò al re di Sicilia ed imperatore Federico II di Svevia che decise di metterlo alla prova: il re e la sua corte si recarono pertanto al largo a bordo di un'imbarcazione e buttarono in acqua una coppa che venne subito recuperata da Colapesce. Il re gettò allora la sua corona in un luogo più profondo e Colapesce riuscì nuovamente nell'impresa. La terza volta il re mise alla prova Cola gettando un anello in un posto ancora più profondo ed in quell'occasione Colaspesce non riemerse più.
La leggenda è stata trascritta e rielaborata da Italo Calvino.
Secondo la leggenda più diffusa, scendendo ancora più in profondità Colapesce vide che la Sicilia posava su 3 colonne delle quali una piena di vistose crepe e segnata dal tempo, secondo un'altra versione essa era consumata dal fuoco dell'Etna, ma in entrambe le storie decise di restare sott'acqua, sorreggendo la colonna per evitare che l'isola sprofondasse. Ancora oggi si troverebbe quindi a reggere l'isola.
Una versione catanese della leggenda vuole che il sovrano, interessato alla conoscenza del mondo e delle curiosità fenomeniche, chiedesse a Colapesce di andare a vedere cosa vi fosse al di sotto dell'Etna e farne testimonianza. Colapesce scese e raccontò di aver visto che sotto l'Isola vi fosse il fuoco e che esso alimentava il gigantesco vulcano. Federico ne chiese una prova tangibile, così il giovane disse che avrebbe fatto giungere al suo re la prova che desiderava, ma che sarebbe morto nel fargliela pervenire. Colapesce si tuffò con un pezzo di legno per non fare più ritorno, mentre il legno,che notoriamente galleggia, tornò in superficie bruciato.
Ma la nostra storia, quella raccontata dagli attori del gruppo RACCOLTI E INDIFFERENZIATI, si svolge in Sicilia ed abbraccia sia la versione palermitana che quella catanese. Infatti giorno 24 ottobre 2015 l'Accademia Del Tempo Libero di Reggio Calabria ha prodotto una serata di teatro nella propria sede, auditorium "Cipresseto Zanotti Bianco", appunto con i suoi attori capitanati, come sempre, da Antonia Rigo Festini in collaborazione con il di lei e inseparabile marito Aldo Festini. Qui di seguito il sottoscritto pubblica una lunga serie di fotogrammi col relativo filmato in cui scorrono, dopo i titoli, le nomenclature con tutti i nomi del cast.
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