venerdì 16 ottobre 2015

ACCADEMIA DEL TEMPO LIBERO DI REGGIO CALABRIA 15 OTTOBRE 2015 CONFERENZA DEL PROF. FRANCESCO ARILLOTTA SULLE VERE ORIGINI DEL BERGAMOTTO. UN BENEFICIO PER LA CITTA' DI REGGIO CALABRIA ?

Chi è Francesco Arillotta ?
Laureato in Giurisprudenza
Giornalista pubblicista dal 1966
Direttore Responsabile della rivista di archeologia “Klearchos”
Ispettore Archivistico onorario
Membro-deputato della Deputazione di Storia Patria per la Calabria
Autore di numerose pubblicazioni di indirizzo storiografico, tra le quali:

-  “Reggio e le sue strade - briciole di storia nella toponomastica cittadina”
-  “Reggio nella Calabria spagnola - storia di una città scomparsa - 1600/1650
-  “San Giorgio Megalomartire - tradizione e storia di un culto millenario” - con         monsignor Nicola Ferrante
-  “Il Palazzo ‘Campanella’ del Consiglio Regionale della Calabria tra storia e     architettura” - con Domenico Gimigliano
-  “Storia del Palazzo della Provincia di Reggio Calabria” - con Vanni Crupi
-  “Repertorio della Carta Archeologica di Reggio Calabria”.

   Così inizia Franco Arillotta (di seguito una relazione scritta dal suo stesso pugno)

Una storia ‘ragionata’ del bergamotto, e del suo rapporto unico con Reggio Calabria, non è stata ancora scritta.  In compenso, sull’essenza di bergamotto sono state scritte sciocchezze terribili. Il famoso Feminis, che è considerato il padre della moderna profumeria, avrebbe inventato l’aqua alla fine del 1660; ma egli nasce nel 1666. Lo stesso Feminis avrebbe tratto l’idea dell’aqua da un soggiorno fra i bergamotteti di Reggio, nel 1704, quando già a quel tempo egli era diventato ricco
in quel di Colonia, e a Reggio di bergamotti non ce n’era nemmeno una pianta. Feminis avrebbe lasciato la formula segreta dell’aqua a Farina, morendo nel 1736, ma Farina costituisce la sua società per la produzione dell’Acqua di Colonia nel 1714. Per non parlare delle etimologie coniate in proposito, che fan morire dalle risate…Quanto ai trascorsi storici del bergamotto, va citato il pittore Bartolomeo Bimbi, che opera alla corte dei Medici agli inizi del ‘700, il quale disegna in un suo quadro un bergamotto, e sul cartiglio scrive ‘pera bergamotta’. Giovanni Targioni Tozzetti, nella settecentesca Relazioni d’alcuni viaggi, in cui descrive l’agricoltura toscana dell’epoca, afferma che nelle serre delle ricche famiglie di quella regione, insieme ai cedri, ai limoni, agli aranci, si trovavano anche piante di bergamotto. Johann Christoph Volkamer, il botanico tedesco al quale si deve il primo disegno tecnico di un frutto di bergamotto, lo ha  visto nelle serre e nei giardini pensili dei Maffei di Verona. Nessuna presenza fuori dell’Italia centro-settentrionale; e nessun accenno alla preziosa essenza. Tuttavia qualcuno già la ricava dalla buccia, perché, tra fine ‘600 e inizi del ‘700, il vigezzino Giovanni Paolo Feminis, un venditore ambulante di elisir e tisane, che va in giro per le città e i paesetti attorno a Colonia, vendendo un’acqua profumata che ricava unendo varie essenze, aggiunge al suo miscuglio qualche goccia di un olio profumatissimo, ricavato da questo frutto semisconosciuto, e scopre che esso impedisce agli altri oli eteri di volatilizzare. E’ un fatto mirabile; ed egli chiamò quel liquido ‘aqua admirabilis’. Era una fragranza nuova, fresca, contrapposta ai pesanti profumi usati all’epoca; e andò a ruba, facendo la sua fortuna.
Nel 1709, Giovanni Maria Farina, che era un suo lontano cugino, e lavorava anch’egli a Colonia nel campo dei prodotti esotici, capisce l’importanza della scoperta e si mette in  proprio, a livello industriale; nel 1714, egli dà all’aqua un nome che diventerà famoso: “Kölnisch Wasser”, all’italiana: “Acqua di Colonia”, alla francese: “Eau admirabile de Cologne”. Nel 1806, un altro Giovanni Maria Farina, nipote del primo, da Colonia si trasferisce a Parigi, e denomina questo profumo “Eau de Cologne Jean Marie Farina”. Nel 1818, Antoine Joseph Risso classifica ufficialmente la pianta di bergamotto: Citrus aurantium bergamia Risso, della famiglia delle rutacee, sottofamiglia delle hesperidee, genere citrus.
Ma quando e come è arrivato allora a Reggio questo prezioso albero?
Significativa è la mancanza di indicazioni di essenza di bergamotto, nei pur minuziosi inventari cinque-sei e settecenteschi delle farmacie reggine. Fino alla seconda metà del XVIII secolo, nessun rogito notarile rileva piante di bergamotto nei poderi di Reggio. Nel primo atto che, nel 1757, cita i bergamotti, il notaio dell’epoca scrive pergamotti. L’anno successivo, si parla solo di gelsi, ‘ficare’, bergamotta, peri ed altri alberi da frutto. Nel citatissimo atto stipulato da Nicolò Parisio del Cardinale, che però è del 1760 e non del 1750, si accenna genericamente a migliorie ai propri fondi, ottenute sistemando piante di gelso, di bergamotto e di altri alberi fruttiferi. Spanò Bolani afferma che fu un certo Carlo Menza a portare a Reggio un innesto. Si racconta di un Valentino che comprò un alberello. Siamo a livello di mere rarità botaniche. Ma il 21 dicembre del 1763, Giovanni Costantino e Ignazio Candiloro si impegnano a consegnare, nel successivo mese di settembre 1764, a Domenico Iaria, dieci libbre ‘di spirito di bergamotto di buona qualità, mercantibile e recettibile’.
Questo contratto può costituire l’atto di nascita dell’industria essenziera reggina!
Come detto, una storia completa e documentata sul bergamotto reggino non c’è.
Però presto ci potrei mettere seriamente mano. Pianta ed essenza lo meritano.

Ma il dott. Arillotta ci ha messo veramente la mano mettendo in risalto i nomi dei primi produttori reggini. La prima piantagione intensiva di alberi di bergamotto fu opera, nel 1750, del proprietario Nicola Parisio che cominciò, con tre alberi, lungo la costa reggina, nel fondo di Rada dei Giunchi, situato di fronte l'area dove oggi si trova, nel cuore della città, il Lido comunale Zerbi. Originariamente l'essenza veniva estratta dalla scorza per pressione manuale e fatta assorbire da spugne naturali (procedimento detto "a spugna"), collocate in recipienti appositi (detti concoline).
Nel 1844, si documenta la prima vera industrializzazione del processo di estrazione dell'olio essenziale dalla buccia grazie a una macchina di invenzione del reggino Nicola Barillà, denominata macchina calabrese, che garantiva una resa elevata in tempi brevi, ma anche un'essenza di ottima qualità se paragonata a quella estratta con la spugna.
Così, finita la chiara e piacevole relazione, molti sono stati gli interventi per cui si è aperto un lieto dibattito. In fine, il sottoscritto è stato invitato a leggere una poesia dialettale, 'U BERGAMOTTU,  scritta dal medesimo e facente parte di una raccolta intitolata " A ME' TERRA SI CHIAMA CALABBRIA" che si pregia di trascrivere qui di seguito.

                                    'U  BERGAMOTTU

                               mentri faciva ‘a leva militari,
                               era mbrischiatu, dintra, nta caserma,
                               cu ggenti svariata e un tracandali,
                               a Triesti città , ma ‘n terra ferma.

                               E quindi si parrava tra surdati,
                               ognunu ‘pprizzandu la so' terra,
                               cu' lingui un pocu cassariati,
                               “sparandu” comu fussimu nta verra.

                               Partimmu di supra dill'Italia,
                               cu 'nu figghiolu di Bergamu città
                               e si vantava chi so mamma Flavia,
                               ntrùgghia 'na pasta che 'na gran buntà.

                               'Nu piattu prelibatu 'i "casunsei"
                               oppuru "Scarpinocc" e rraviolini.
                               'N'autru partiu di munti 'i Canizei
                               parrandu di strudel e caccioffulini.

                               E scindendu cchiù sutta nta Calabria,
                               m’ arricurdai di nostri rarità;
                               sicuru e certu e cu' gran caparbia
                               scapulai un discuru sull'acerbità.

                               Mi misi mi nci parru 'i bergamottu...
                               mi curriggiu 'nu stortu...scenziatu:
                               "si dice bergamasco” ‘u giuvinottu !"
                               Ed'eu lu vardai paralizzatu.

                               Allura nciu spiegai...santa pacenza,
                               chi si trattava d'un fruttu prelibato,
                               pi allargari, appuntu, la so' scenza,
                               di pulentuni stortu e sbinturatu.
                              
                               " Vu spiegu a tutti, si ndaviti gnegnu,
                               ‘u bergamottu è n'agrumi rraru,
                               è dittu : Figghiu di lu Patriternu,
                               vu’ dicu e vu’ ripetu, m'esti chiaru !

                               Rientra nta rrazza citrus-limuni,
                               vu staju ricendu cu’ li me' palori,
                               mi vi prisentu 'sti frutti non cumuni,
                               gialli e virdeddhi chi non su' citroli.

                               L'origgini rrisali e’ tempi ggiargianisi,
                               quandu nta conca di la Rrada Giunchi,
                               pì primu, lu chiantau...Cola Parisi,
                               nta terra riggitana e cu' ddu tronchi.

                               'A prima sprimitura 'a fici 'n'autru Cola,
                               chi di cugnomu faciva Barillà,
                               fici 'na machina, e fu capuscola,
                               p'aviri ‘a matr’essenza…’a ”sanità ".

                               Nci parrai ri tempi antichi riggitani,
                               nci rissi chi lu fruttu crisci 'ccà
                               e non ad'autri parti afrucubbani,
                               nciù rissi jeu e non quaquaracquà.

                               "Un primatu chi n’ebbi mai l’eguali,
                               nta Riggiu, sulu l'ebbiru 'i Vilardi,
                               chi rricavaru l'ogghiu ‘ssenziali
                               e vu mandaru a vui storti lumbardi.

                               E' ura mi finisciu 'stu discursu -
                               nci rissi 'e citrola e 'o tracandali -
                               'u bergamottu, pi vvui, fors'è 'nu lussu,
                               'e riggitani, mbeci, nci caccia 'u speziali ".



                                                      Salvatore Marrari    



















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