Ci sono dei momenti nella vita che, per un piccolo gesto, si aprono tanti ricordi e si rivede un passato riportato alla ribalta dai tuoi pensieri; come se ci ritrovassimo dietro un proiettore da film che, su di uno schermo, invia immagini di un tempo che fu. Il paragone, a mio parere, regge perché se vogliamo meditare per qualche istante su questi meccanismi, scopriamo che il proiettore con la pellicola è il nostro cervello che ha incamerato il passato, il bianco schermo è la realtà della vita attuale e il film è il passato che ritorna in visione.
Dalla pubblicazione su Facebook di una particolare foto scattata il 5 settembre del 1937 che raffigurava il matrimonio dei miei genitori, Nuccia Minuto e Domenico Marrari, ho rivisto i volti di alcuni familiari, nonni, zii e prozii e il mio cervello ha cominciato a proiettare su quello schermo dianzi menzionato alcune realtà vissute tra l'infanzia e la giovinezza. Ho rivisto e ne ho sentito anche le voci di zio Santo Laganà e della di lui consorte zia Carmela, lui fratello della mia nonna materna Fortunata Laganà, quindi zii di mia madre. Ho percorso mentalmente le stradine di quel piccolo rione reggino, dove loro abitavano, denominato Tre Mulini, dove si andava spesso con mia madre a salutare loro e i cugini; ma c'era un giorno dell'anno molto particolare durante il quale ci si incontrava e con tutte le truppe di figli e cugini, era il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. La loro famiglia e quella di mio nonno, quindi anche io con mia madre, si andava a quella chiesa di Tre Mulini alle sei di mattina, si facevano le usuali adorazioni e poi tutti a casa di zio Santo Laganà il quale ci portava nella vigna di fronte alla vecchia abitazione e mesceva il vino novello, un frizzantino rosso che punzecchiava il palato anche di noi bambini. Poi alle nove circa, a piedi come all'andata, si rientrava al rione San Pietro dove, nelle nostre abitazioni, ognuno "impastava" le prime crispelle dell'anno in odore del Natale in arrivo e che già bussava dietro la porta.
Questo pomeriggio del 6 settembre 2016, a piedi come una volta, son partito dal Rione Sbarre Centrali, zona Loreto, con la ferma intenzione di raggiungere la vecchia Tre Mulini ricordando l'accesso attraverso le scale di pietra raggiungibili dopo aver fatto tutto il viale Amendola verso nord. Raggiunto il punto della mia meta, mi son fermato sotto quelle scalette a due rampe per effettuare qualche scatto fotografico quando qualcuno ripeté il mio nome a voce alta. Il signore che interloquiva non era tra mie conoscenze, mi sono avvicinato e fu cortese nel dirmi che mi seguiva nelle mie pubblicazioni fotografiche e, in special modo, negli scritti che raccontano della vita e della poesia del mio prozio poeta Matteo Paviglianiti. Chiesi il suo nome, Demetrio Campolo architetto libero professionista, e nacque tra noi una intesa cordiale che ci trovò dello stesso parere sulla storia di Reggio, sulla cultura o pseudo tale di alcuni personaggi che credono di possedere tutte le conoscenze antiche, su alcune pubblicazioni, sui rioni minimi che hanno perso la loro reale faccia di un tempo distrutta dal nuovo cemento armato, dalle delocalizzazioni, dalle così dette modernità. Spiegai del perché mi trovassi in quel luogo e con la sua guida entrai in quei vecchi vicoletti abbandonati, sovrastati da nuove strutture, dai palazzi dell'università, dal Planetario Pythagoras, ma riuscii comunque, col valido aiuto del mio accompagnatore Demetrio, a ritrovare la vecchia casa degli zii Laganà. C'erano delle persone dentro che giocavano a carte, furono gentili, era divenuta una specie di osteria, una bettola, e alle nostre domande ci diedero le informazioni che cercavo, si, avevano conosciuto lo zio Santo, i suoi figli e quella in cui si trovavano era la vecchia abitazione dei Laganà. Spostandoci, l'amico, mi fece conoscere due signore incontrate proprio sulla via dei Tre Mulini, il cui cognome era anche Laganà, figlie di cugini dello stesso ramo dei miei parenti. Quanto è piccolo il mondo e quanto è bello il rapporto umano che trovi in questi piccoli rioni dove tutti si conoscono e dove tutti credono fermamente all'amicizia e all'amore verso il loro prossimo.
Naturalmente ho colto qualche immagine del degrado e dello scempio creato dall'uomo che si definisce "avido di cultura". Della vecchia Reggio rimane ben poco e di quelle case di fine '800, costruite col sudore della fronte e con tanti sacrifici, fatte di "petri e matu"(sassi e fango), rimane ben poco per cui invito i miei cari concittadini di andare alla riscoperta dei nostri vecchi borghi. Abbiamo tanta storia, quella vera che si ritrova in mezzo alla strada e tra la gente comune, dai cui racconti si possono trarre grandi esperienze e tanti bagagli culturali da valorizzare nel futuro che ci riserva la vita. Grazie amico di averti trovato sul mio cammino, grazie Demetrio Campolo, mi hai dato tanto in quella ora che gentilmente mi hai fatto da guida e per chiudere voglio citarti Matteo Paviglianiti.
‘U PRUGRESSU
Santu prugressu chi facisti fari !
L’umanità facisti mbizzarriri,
tu senza rrimi li fa’ navicari,
facisti mi si perdi la so’ firi.
A sezu inversu or’è lu so’ duviri,
spariu dill’occhi chiddhu verbu amari,
‘u visu di la ggenti cchiù non rriri
di chiddh’amuri ch’era seculari.
Su’ tutti mbilinati ‘i sapienza,
comu li tocchi spruzzunu lu feli,
chi puru ‘a mamma perdi la pacenza,
cu’ ddha buccuzza sua china di meli.
Tu crisci ‘i figghi comu tanti sciuri,
crirendu chi prufumanu la casa,
e nta lu pettu tu senti l’amuri,
chi pari chi lu cori si travasa.
Era, ‘na vota, ‘a casa ‘na fuleja,
china di paci e china d’armunia :
ora cu voli a Cristu si lu prea,
e ognunu si ndi vai pi’ la so’ via…
Poesia tratta dal libro 'U SPECCHIU D'A VITA del 1938
Salvatore Marrari RC 6 settembre 2016
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La vecchia casa di zio Santo Laganà |
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La vecchia casa di zio Santo Laganà |