Fu
l’occasione ultima per Nicola Giunta e Gaetano Cingari,per recitarne le virtù nel discorso di estremo saluto per l'amico
e ispiratore, la’, in Piazza Castello, dove i compagni
socialisti avevano portato
ed accompagnato il
feretro da Via Macello, luogo del
suo domicilio, superando il Calopinace, percorrendo
quella parte di Corso Garibaldi
che era stata il
"Salotto di Don Matteo". Tutti i proprietari degli esercizi
pubblici della strada,
a quel passaggio, chiusero i negozi in segno di
lutto, commentando, qualcuno in lacrime, la perdita di un grande amico, un
grande uomo che usava verseggiare incontrandoli. Tengo a dire, per dovere di
cronaca, che il prete pro tempore della vecchia e baraccata chiesa del Sacro
Cuore di Gesù di Via Galileo Galilei, chiamato dalla nipote Annina, del poeta
intendo, che, tra l’altro, era buona amica del sacerdote ed una affezionata
fedele di quella chiesa, non volle benedire la salma, ne officiare i servizi
funebri perché il defunto era un socialista, dicendole chiaramente :” Mi
dispiace Nannina, ma tuo zio era socialista e non posso officiare”. Furono i
compagni di partito a dirottare il feretro, trainato da carrozza e cavalli,
che senza aver cura delle proteste
dell'uomo, conosciuto come ‘U CAVIALI,
che stava a cassetta. Realizzarono una pacifica protesta alla chiesa cattolica,
fermando la bara, con una sosta di pochi minuti, di fronte alla cattedrale,
tale da sembrare una scena da film, più recente, di "Don Camillo e
l'Onorevole Peppone". Erano di quelle cose che, facilmente, accadevano
nella vita pratica di quel tempo, ma senza alcuna violenza, perché i militanti
dei partiti socialcomunisti erano considerati dalla chiesa di Roma eretici e
fuori dalla legge di Dio. Sta di fatto che per Matteo Paviglianiti fu come una
seconda e ultima purga"; fu punito in vita e in morte, dal fascismo prima e dalla chiesa di Roma nel suo trapasso
dopo.
Salvatore
Marrari RC 1 maggio 2007
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