martedì 29 giugno 2010

IL VOTO DI CASTITA' VIENE DA DIO ?



AMORE VUOL DIRE CASTITA' ?


L'amore è un fumo che nasce dalla nebbia dei sospiri. Purificato, è un fuoco, che guizza negli occhi degli amanti. Agitato, è un mare che si nutre delle loro lacrime...ma che altro può essere? Pazzia discreta, soffocante amarezza e dolcezza che, alla fine, ti salva. L'amore è una nebbia format...a con vapore di sospiri: se la nebbia si dissipa, l'amore è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti. Se vien tagliato, l'amore si risolve in un mare alimentato dalle lacrime degli amanti. Ma per chi pratica la castità non è così, infatti questo "voto" li rende diversi dagli uomini che sono liberi di vivere ed amare un amore sessuale che appaga oltre ogni limite e rende devote e mature le coppie. La castità, invece, perpetua la giovinezza e nei volti stanchi e scavati di alcuni preti ho visto occhi di adolescente. E' proprio questo essere adolescenti che porta verso quell'amore pedofilo, l'amore che gli occhi di un immaturo riversano su bambini e bambine come fossero dei coetanei .
MA LEGGETE QUANTO DISPONE LA CHIESA CATTOLICA CON IL SUPERDOGMA DEL CELIBATO : DELLE VERE....CAZZATE .
" Come sicuramente sai, i sacerdoti, per la grazia del sacramento dell' Ordine sono simili a Cristo. Il sacerdote è un nuovo Cristo e ha ricevuto potere particolare da Nostro Signore di sorvegliare, nutrire, dirigere e guidare la Sua Chiesa. Cristo stesso fu, durante la sua intera vita, celibe. Non si sposò mai. I sacerdoti di rito Latino seguono questo esempio dell'amore perfetto di Cristo, che diede se stesso totalmente ed esclusivamente al servizio di Dio Padre e per la nostra redenzione. La vita di Cristo fu un dono totale alla gloria di Dio Padre ed alla redenzione di noi uomini e donne. Il sacerdote di rito Latino è chiamato da Cristo a seguirne gli stessi passi, e vivere la totalità del dono della sua persona al Padre in modo d'aiutare molti uomini e donne a raggiungere il paradiso.( E NON FINISCE QUì )
La Chiesa considera il celibato come un dono, e questo è il modo nel quale la vasta maggioranza dei sacerdoti ha sempre considerato e sempre considererà il celibato : un dono del cielo. Nostro Signore dice che alcuni dei sui seguaci sarebbero chiamati a delle vite di perfette castità. Questo, dice, è solo per coloro che sono chiamati. Vi sono infatti degli eunuchi che sono sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi tali dagli uomini, e vi sono altri che hanno rinunziato al matrimonio per il Regno del Cieli. Chi può capire, capisca ".
Quanta inverità e quanto accentramento di potere nelle mani di una chiesa che rasenta il paganesimo.
QUI VERAMENTE, PER QUESTI POVERETTI, L'AMORE E' UN FUMO CHE NASCE DALLA NEBBIA DEI SOSPIRI. E DA QUESTO SOSPIRARE, LA PERVERSIONE INCREMENTA LA PEDOFILIA E QUEST'ULTIMA AUMENTA L'ATTUALE MALESSERE SOCIALE VERSO L'ABOMINEVOLE CASTA DI PRETI E PORPORATI.

giovedì 10 giugno 2010

SCILLA AMORE MIO !

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« Arrivai in città ammirando la sua strana posizione. Costruita su una altura discende come un lungo nastro sul versante orientale della montagna, poi girandosi a guisa di S viene a distendersi lungo il mare........... »
                                                                                                             (Alexandre Dumas, scrittore )
  • Pausania (grammatico di Cesarea), racconta che Scilla fu figlia di Niso, re di Megara. La principessa aiutò il re Minosse contro il proprio stesso padre permettendogli di conquistare delle terre che erano sotto il suo dominio. Il vincitore poi, non solo rifiutò di sposarla, ma l'abbandonò alle onde del mare, che ne portarono il corpo, di greca mirabile fattura, ai piedi del promontorio a cui fu dato il nome della vaga infelice fanciulla: " esso si trova a 12 miglia da Messina, lungo la Costa Bruzia. "
  • Secondo Palifato, Polibio e Strabone il primo nucleo abitato di Scilla risalirebbe ai tempi della guerra di Troia. In questa remota epoca si è soliti riconoscere nella penisola italica ondate di migrazioni di popolazioni ibero-liguri provenienti dal mare e dirette verso sud. Si ritiene dunque che tali popolazioni potrebbero aver fondato qualche villaggio lungo i terrazzamenti più bassi del crinale aspromontano sud-occidentale, degradante verso lo Stretto. Trattandosi di popoli di pescatori, presumibilmente elessero come area d’insediamento il sito adiacente la rupe centrale di Scilla, dove la presenza dei numerosissimi scogli agevolava la pratica della pesca, consentendo al tempo stesso la costruzione delle rudimentali capanne : il quartiere di pescatori di Chianalea con il Castello Ruffo. Tale ipotesi è in parte avvalorata dallo stesso Omero allorquando, nel descrivere Crataia come madre di Scilla, lascia intendere l’esistenza di uno stretto legame tra questa e la nascita del mito del Monstruum Scylaeum, da intendersi sorto ancora alla prima frequentazione umana del tratto di mare antistante l’odierna cittadina. Dal momento che Crataia è da più parti identificata con il vicino torrente Favazzina, ancora ai tempi del Barrio chiamato fiume dei pesci , se ne potrebbe dedurre che gruppi di popoli dediti alla pesca, giunti via mare lungo la bassa costa tirrenica, inizialmente siano approdati alla foce di questo fiume, dove era agevole praticare l’attività, e successivamente si siano spostati più a sud, trasferendo la propria residenza presso la costa scillese, più ricca di pesci.In mancanza di precedenti testimonianze attendibili circa le epoche più remote, si è propensi a far risalire la prima fortificazione di Scilla agli inizi del V secolo a.C., allorquando durante la tirannide di Anassilao la città di Reggio raggiunse una notevole importanza, che le permise di ostacolare per oltre due secoli l'ascesa di potenze rivali. Strabone racconta che nel 493 a.C. il tiranno di Reggio, Anassila il giovane, per porre fine alle reiterate razzie perpetrate dai pirati tirreni a danno dei commerci aperti dalla città con le colonie tirreniche, avesse mosso contro di loro con un forte esercito, sconfiggendo e scacciando i pirati da queste terre. Per i Tirreni gli innumerevoli scogli e l’alta rocca caratterizzanti la costa scillese costituivano un rifugio naturale ideale, luogo inaccessibile da cui dirigere redditizie scorrerie lungo le coste, nascondiglio sicuro per il bottino e baluardo di difesa contro eventuali controffensive nemiche. Presumibilmente sorsero quindi contrasti e lotte tra i primi marinai e pescatori che avevano occupato la zona e i pirati Tirreni, alla cui bellicosità forse si deve attribuire la causa dell’arretramento dal mare dei pescatori, ostacolati dai pirati nella pratica su cui basavano il proprio sostentamento. Ciò spiegherebbe il trasferimento di residenza verso la zona alta di Scilla, l'attuale quartiere di San Giorgio, attuato da queste genti marinare, che si trasformano in agricoltori e cacciatori e mantengono poi attive le nuove pratiche fino all’età moderna.
  •     Espertissimi nella navigazione, i Tirreni avevano dominato a lungo da incontrastati padroni le rotte del Mediterraneo, esercitando il proprio predominio soprattutto nello Stretto, grazie al presidio posto sulla rupe scillese, all'imboccatura del canale, presumibilmente fortificato. Più tardi però questi vennero sconfitti dai reggini, vittoria questa che segna un momento significativo nella storia di Scilla, considerata da Anassila un importante avamposto di controllo sulle rotte marittime. Mentre si assicura il dominio sul territorio circostante inglobando una nuova sezione del Chersoneso reggino, al tempo stesso Anassila ha cura di realizzare una "stazione delle navi" a Punta Pacì, ordinando la costruzione di un porto dotato di un agguerrito presidio militare. L’opera di fortificazione dell’alto scoglio fu portata a termine dai successivi tiranni reggini, spesso impegnati in scontri con i pirati che combattono avvalendosi del porto fortificato appositamente costruito a Monacena, verso Punta Pacì, in un luogo inaccessibile dal lato opposto allo scoglio. Baluardo della sicurezza dei reggini, la fortificazione di Scilla dotata di approdo è di fondamentale importanza agli effetti del felice esito della guerra contro la pirateria, consentendo ai tiranni di Reggio di opporre per lungo tempo una valida resistenza contro gli attacchi di nuovi nemici e contro i continui tentativi di rivalsa dei Tirreni sconfitti.
  • Agli inizi del III secolo a.C., dopo la presa di Reggio ad opera del tiranno di Siracusa Dionisio I, che nel 386 a.C. aveva distrutto la flotta navale della città di stanza a Lipari e nel porto di Scilla, I pirati tirreni tornarono ad essere audaci e si reinsediarono sul promontorio scillese, dove ripresero a dedicarsi alla pirateria avvalendosi del preesistente porto fortificato fino a quando, nel 344 a.C., il prode Timoleonte di Corinto riuscì a sconfiggerli definitivamente.
  • Per quanto riguarda la successiva storia della fortificazione dell'imponente scoglio di Scilla, si ha testimonianza di come essa coincida con la storia delle vicende che hanno caratterizzato il reggino all’indomani della tirannide siracusana.
  • In tarda età magnogreca lo scoglio scillese è una fortezza, conosciuta come Oppidum Scyllaeum, successivamente potenziata nelle sue strutture militari durante l'età romana, allorquando porto ed oppidum costituiscono un funzionale ed efficiente sistema di difesa per i nuovi dominatori del Mediterraneo.

  • SCILLA IN EPOCA ROMANA

  • Alla fine del II secolo a.C., durante le guerre condotte dai Romani contro i Tarantini sostenuti da Pirro, e in particolare durante la prima e la seconda guerra punica, i Cartaginesi che avevano stretto alleanza con i Bretti e circolavano liberamente lungo le coste reggine, furono fermati nella loro ascesa proprio grazie alla strenua resistenza opposta loro dalla fortificata città di Scilla, alleata di Roma. L’importanza della Scilla latina cominciò a decadere all’indomani della conquista romana delle terre siciliane quando, dopo Reggio e Siracusa, Messina assurse al ruolo di nuovo caposaldo per il controllo dello Stretto. Pur tuttavia Scilla, posta all’imbocco settentrionale del canale, continuò a costituire un’importante tappa d’approdo lungo la costa tirrenica continentale, tant’è che nel 73 a.C., durante la guerra condotta dai romani contro gli schiavi, la cittadina sembra essere stata prescelta da Spartaco, a capo dei ribelli, per accamparsi in attesa di poter attraversare lo Stretto. La fuga in Sicilia, progettata dagli schiavi ribelli con il ricorso a zattere costruite col legno di castagno estratto dai boschi scillesi, non ebbe tuttavia alcun esito a causa della presenza lungo lo Stretto delle minacciose navi pompeiane.
  • Successivamente il tratto di mare antistante la cittadina fu teatro degli avvenimenti che segnarono l’ultimo scontro tra Pompeo e l'annata dei Triunviri, conclusosi nel 42 a.C. con la disfatta del primo. In quel frangente il porto di Scilla offrì opportuno rifugio alle navi di Ottaviano pressate dalla flotta di Pompeo, allorquando il futuro Augusto, nel tentativo di rimandare lo scontro finale ad un momento a lui più propizio, colse l’importanza strategica di Scilla e, una volta liberatosi definitivamente dei rivali, decretò l’ulteriore fortificazione del suo porto.

  • SCILLA NELL'ERA CRISTIANA

  • Dopo Ottaviano non sembra che la fortificazione scillese abbia conosciuto nuovi rimaneggiamenti, sebbene la cittadina continui a detenere l’importante ruolo di centro marittimo locale, come testimonia Sofronio Eusebio Girolamo ( per i cattolici San Gerolamo ) quando, approdato nel 385 a Scilla durante il suo viaggio verso Gerusalemme, ci ha lasciato testimonianza nel III libro delle sue opere, circa la grande esperienza dei marinai scillesi, capaci di fornirgli consigli assai utili per il buon proseguimento della navigazione.
  • Lo stato di abbandono in cui sembra trovarsi la fortezza di Scilla in tarda età romana, presumibilmente, dipende dal localizzarsi la stessa al di fuori degli itinerari terrestri percorsi dai barbari, durante le loro invasioni nel sud della penisola.
  • Costoro, infatti, nel loro "calare" a sud, utilizzano i tracciati viari romani rimasti agibili in quell’epoca di decadenza. Scilla, che non era allacciata alla via Popilia, unica strada consolare esistente lungo la costa tirrenica, rimane dunque estranea ai fatti essenziali del tempo. Difatti la Via Consolare Popilia, nel tratto più meridionale del suo percorso non bordeggiava la costa, bensì risaliva verso l’interno passando per Solano e, superate le Grotte di Tremusa, raggiungeva la statio ai Piani della Melia, dirigendosi poi verso Cannitello, «ad Fretum», senza ripiegare verso Scilla.


  • SCILLA NEL NOSTRO TEMPO

  • IL terremoto del 1783 rappresenta uno spartiacque importante nella storia di Scilla per la particolarità con la quale si abbatté sulla cittadina e anche perché rappresentò la fine di uno sviluppo economico che Scilla ebbe lungo tutto il settecento. Ritrovamenti archeologici delle tracce dei resti dell’antico porto, oggi scomparse a causa delle violente tempeste e delle fortissime correnti marine, furono rinvenute ancora nel XVIII secolo a seguito delle ricerche in tal senso effettuate dallo studioso locale Rocco Bovì.


  • LO STEMMA DI SCILLA

  • Esso quindi raffigura una sirena coronata con due code tenute insieme con le mani, e reca la dicitura latina "Scillæ Civitas" (la città di Scilla). Lo stemma non è racchiuso nel tradizionale scudo sannitico prescritto normalmente per gli stemmi dei comuni italiani.

  • URBANISTICA DI SCILLA : I QUARTIERI
  • SAN GIORGIO : nel centro vero e proprio denominato "San Giorgio" hanno sede il palazzo comunale e la chiesa di San Rocco, patrono di Scilla.
  • JERACARI : è l'espansione più recente del centro abitato, si è formata circa trent'anni fa ed è costituita prevalentemente da cooperative, inoltre vi si trova il Campo sportivo comunale. IL quartiere è separato dal centro storico da una piccola zona disabitata e dal cimitero. Zona un tempo ricca di vigneti, in tempi recenti vi sono stati costruiti molti condomini.
  • MARINA GRANDE : è la zona della spiaggia, delimitata, a sud e a nord, da due imponenti costoni di roccia e separata dal centro da una scogliera a strapiombo. Un'altra attrattiva di Marina Grande è la chiesa cinquecentesca dello Spirito Santo, dove si trova il dipinto di Francesco Celebrano - La discesa dello Spirito Santo (1799).
  • CHIANALEA : ('a Chjanalèa) ossia Piana delle Galee, nome di un'antica imbarcazione ovvero sinonimo arcaico di pescespada. Anch'essa zona costiera situata sul versante settentrionale della scogliera che ospita il castello che la divide da Marina Grande. Chianalea offre solo pochi metri di spiaggia essendo quasi tutta la sua costa costituita da scogli e rocce che rendono pericoloso e difficile entrare in acqua. Tutta Chianalea è percorsa da un'unica strada che la connette da un lato con il porto e dall'altro con la SS18. Elemento piacevole della zona è il grande numero di case costruite quasi tutte a ridosso del mare, che le sono valse il soprannome di "piccola Venezia del Sud" . Si colloca infine a metà tra Marina Grande e Chianalea il già menzionato porto che ospita barche da pesca e, durante il periodo estivo, piccole e medie imbarcazioni da diporto.

  • LE FRAZIONI
  • Sono inoltre frazioni del comune di Scilla, separate dai quattro quartieri del capoluogo:
  • FAVAZZINA , situata sulla costa tirrenica, a pochissimi chilometri a nord del capoluogo comunale, è una piccola e accogliente stazione balneare.
  • MELIA , in cui sono fiorenti l'agricoltura e l'allevamento, è situata a circa 800 m d'altezza, in una posizione ideale per la vicinanza al mare di Scilla (circa 15 minuti in auto), ed agli stabilimenti montani di Gambarie.
  • SOLANO SUPERIORE , situata alle pendici dell'Aspromonte, è molto apprezzata per la mitezza del clima durante il periodo estivo. È contigua a Solano Inferiore, frazione del comune di Bagnara Calabra. Apprezzata per la coltivazione delle patate e per l'allevamento dei maiali e delle capre.
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venerdì 4 giugno 2010

REGGIO DI CALABRIA....E PERCHE' NO, CULLA DI ARTE CULTURA E PERSONAGGI DI GRANDI SCIENZE


REGGIO CALABRIA, LA MAGNA GRECIA  E  I  SUOI  ILLUSTRI  REGGINI
LA SCUOLA PITAGORICA ( Pitagora : Figlio di un mercante di Tiro, Pitagora nacque a Samo nel 570 a.C. Qualche leggenda lo presenta come allievo di Talete, che visse nella vicina Mileto, ma appare poco credibile, essendoci fra i due circa cinquant'anni di differenza. Compì viaggi in Egitto e a Babilonia, durante i quali frequentò circoli sacerdotali e magici, prima di stabilirsi definitivamente a Crotone, dove fondò la scuola che prese il suo nome. Le alterne vicende politiche lo costrinsero a riparare a Metaponto, dove morì nel 490 a.C. )
La comunità pitagorica fu la scuola fondata da Pitagora a Crotone intorno al 520 a.C. sull'esempio delle comunità orfiche e delle sette religiose d'Egitto e di Babilonia, terre che egli aveva conosciuto in occasione dei suoi precedenti viaggi di studio. La scuola di Crotone ereditò dal suo fondatore la dimensione misterica e la passione per la matematica, l'astronomia, la musica e la filosofia. Pitagora divise i pitagorici in due gruppi:
I MATEMATICI (mathematikoi), ovvero la cerchia più stretta dei seguaci, i quali vivevano all'interno della scuola, si erano spogliati di ogni bene materiale e non mangiavano carne. Ai matematici, gli unici ammessi direttamente alle lezioni di Pitagora, era imposto l'obbligo del silenzio e del segreto, in modo che gli insegnamenti impartiti all'interno della scuola non diventassero di pubblico dominio;
 GLI ACUSMATICI (akusmatikoi), ovvero la cerchia più esterna dei seguaci, ai quali non era richiesto di vivere in comune o di privarsi delle proprietà e di essere vegetariani. Secondo la tradizione, la scuola pitagorica sopravvisse al suo fondatore e contò più di 200 allievi uomini.
Durante la sua esistenza, la scuola fu coinvolta nelle vicende politiche della città di Crotone. Nel 508 a.C., Pitagora fu addirittura costretto ad abbandonarla e a rifugiarsi a Metaponto (dove secondo alcune ricostruzioni sarebbe morto) per sfuggire alla vendetta di Cilone, un nobile crotonese che, a causa del suo carattere collerico ed eccessivamente vendicativo, non era stato ammesso all'interno della comunità. Nel tempo, la scuola si divise in numerose fazioni prima di essere dispersa da un nuovo attacco di natura politica intorno al 460 a.C.; i superstiti si rifugiarono a Tebe e in altri centri del Mediterraneo sud-orientale, ma da quel momento la setta fu definitivamente sciolta.
LA SCUOLA PITAGORICA A REGGIO
A Reggio, al tempo della tirannide di Anassila(Anassilao), sorse la scuola pitagorica che portò la città a primeggiare tra tutte le altre città della Magna Grecia.
 - IPPONE, filosofo e medico di Samo (o di Crotone), è considerato uno dei più importanti esponenti della cosiddetta “seconda filosofia ionica”. Uno degli aspetti notevoli della filosofia di Ippone deriva dalla sua attività osservativa, imposta anche dalla sua professione di medico e naturalista, che lo conduce a teorizzare come fondamento del vivente un “principio vitale freddo” presente nell’umidità e in tutto ciò che ha come base costitutiva l’acqua, ciò, in netta contrapposizione ad Eraclito, il quale, come è noto, sulla base del fuoco-logos come origine e generazione del tutto, aveva sostenuto essere il fondamento del mondo un divino “principio vitale caldo”, insito nel fuoco.
A questo proposito, non sarà peregrino notare come, già a metà del primo millennio a.C., il mondo ellenico rivelasse in filosofia una netta contrapposizione tra i sostenitori di una filosofia metafisico-mistica del tutto astratta e coloro che, attraverso l’osservazione della natura e la riflessione su di essa, pervenivano a delle definizioni le quali, per quanto ancora lontane dalla scientificità più tarda, mostravano già una netta intuizione dei termini oggettivi in cui si pone la realtà fisica e biologica.
In una dichiarazione di Simplicio (Phis., 23, 22), Ippone viene associato a Talete e si fa cenno al suo presunto ateismo: A proposito dei veri “fisici”, per i quali il principio è uno e mobile, così Talete e Ippone (il quale sembra sia stato anche ateo) dicevano che il principio è l’acqua, spinti a tale conclusione dall’esame sensoriale dei fenomeni..
- IPPI(Hyppis), oratore, poeta e primo storico dell'occidente greco, è lo storico greco di Reggio che per primo analizzò e riportò i dati storici dell'occidente ellenico. La sua collocazione nel tempo la si può ricavare da quanto riporta la Suida, che lo inquadra in piena attività di storiografo durante le guerre persiane del V secolo a.C. (La Suida (o Suda) è un lessico enciclopedico, compilato intorno al 1000 sulla base di fonti precedenti. Si era pensato che “suda” fosse il nome dell'autore, ma oggi si ritiene sia il titolo dell'opera, nel significato di 'roccaforte' (del sapere), tratto dal latino. E' il più vasto lessico greco che ci sia pervenuto, un'enciclopedia generale articolata in circa 30 mila voci, ordinate alfabeticamente, e attinenti a tutte le discipline: geografia, storia, letteratura, filosofia, scienze, grammatica, usi e costumi, ecc... Cominciò a essere citata nella forma “suida” da Eustazio da Tessalonica (XIII secolo). Fonte importantissima per la conoscenza dell'antica storia letteraria greca, conserva preziose notizie su opere andate perdute o conservate parzialmente. Tra le sue fonti sono poeti antichi (Omero, Sofocle, Aristofane ecc...), ed eruditi (Esichio, Arpocrazione, Costantino Porfirogenito ecc...), attinti attraverso commenti e antologie ).
Gli vengono attribuiti il trattato “Colonizzazione dell'Italia”, da intendersi Italia greca, cioè la Calabria e la Sicilia, due lavori dedicati alla Sicilia e dei racconti in prosa. Il tempo ci ha consegnato pochi frammenti dell'opera storiografica pur vasta del reggino. Lo cita alcune volte Ateneo, per integrare i suoi discorsi sull'alimentazione: “Ippi di Reggio afferma che il vino denominato 'groviglio' era conosciuto come Biblian, e che Pollis di Argo, il quale divenne tiranno di Siracusa, lo importò dall'Italia” (31, b; I Deipnosofisti, op. cit.). Argo era la più potente città dell'Argolide, la regione che vantava potenti città a noi note per essere state tra le fondatrici delle colonie sicule Corinto e Mègara Nisea. Le scarse qualità dal punto di vista agricolo e climatico della regione, in prevalenza montuosa, devono aver fatto molto apprezzare il nuovo suolo trovato dopo l'approdo nelle coste siciliane. Il riferimento alla città di Argo, che tradizionalmente viene considerata la più antica tra le città elleniche, deve essere integrato dalla considerazione che a quel tempo (V secolo) la città era sede di una famosa scuola di scultori che usavano il bronzo per opere che ebbero vasta diffusione nella Magna Grecia.
- PITONE, vissuto al tempo del tiranno Dionigi di Siracusa.
- ASTILO, autore di precetti morali.


                           SCULTORI
- CLEARCO - A Reggio nacque una scuola di scultura che ebbe tra le sue fila Clearco, uno dei massimi esponenti del dopo Fidia. ( Fidia, o Phidia (Atene 490 a.C., 430 a.C.) è stato un celebre scultore, pittore e architetto greco, del quale peraltro sono giunti ai nostri giorni ben pochi resti delle sue opere originali. Le conoscenze attuali che si hanno sulla sua opera si basano prevalentemente sulla descrizione di scrittori antichi e sulle copie rinvenute di alcune sue sculture eseguite su monete e gemme. Si sa solo che Fidia eccelleva nella perfezione e nella plasticità delle forme, con una perfetta espressione di ideale di eterna bellezza ).
A Reggio esisteva una tradizione assai viva nel campo della lavorazione del bronzo. Questa attività raggiunse le vette dell'arte con lo scultore Clearco, discepolo di Eurichio di Corinto e fondatore della scuola, le cui opere erano così note ed apprezzate da essere ospitate anche nei migliori templi della Grecia. Pausania parla di una statua in bronzo di Clearco, rappresentante Zeus Hypatos, conservata nel tempio di Atena Calcica, a Sparta. La singolarirà di quest'opera consisteva nel fatto che la statua non era fusa, ma costituita da tanti pezzi in bronzo inchiodati fra loro, tecnica di lavorazione tanto arcaica da far affermare allo stesso Pausania che la statua di Clearco fosse la più antica opera realizzata in bronzo.
- PITAGORA REGGINO , discepolo di Clearco, è annoverato tra i cinque maggiori scultori ellenici del dopo Fidia. Realizzò molte opere in tante polis, da Atene a Siracusa. Fu il primo a tenere in considerazione le proporzioni delle statue e ad avere molta cura di particolari come capelli, arterie e vene. Le caratteristiche della sua arte, descritte dai più rinomati studiosi greci e latini, gli hanno fatto attribuire molti capolavori e supportano la tesi di molti studiosi contemporanei come il più probabile autore dei Bronzi di Riace. Tra le altre opere ricordiamo le statue dell’atleta Astilo e del corridore Imnesco, di Eutimo, Lentisco e Cratillo Mantineo, il bronzo raffigurante il toro che trasportava Europa, figlia di Agenore, la testa di Perseo, conservata al museo di Londra e, quasi certamente, la statua dell’auriga di Delfi, commissionata da Anassila.
- SOSTRATO, allievo e nipote di Pitagora reggino.


                                 POETI


- TEAGENE, nato in una data imprecisata tra il 529 a.C. e il 522 a.C., fu il primo esegeta dell'Odissea e il primo critico letterario in assoluto. Teagene curò il testo di Omero e ne diede un’interpretazione razionalistica, assolutamente nuova, assimilando gli dei alle forze della natura. Franco Mosino, noto grecista reggino, cogliendo singolari coincidenze, tra le quali la contemporaneità tra l’Odissea e la fondazione di Reggio, la presenza a Reggio di Teagene, primo esegeta dell'Odissea e le incongruenze che fanno credere all'opera di due diversi autori di Iliade e Odissea, arriva ad affermare che l’Odissea non sarebbe altro che il romanzo delle avventure lungo lo Stretto di Messina dei Calcidesi che fondarono Reggio.
- IBICO, poeta greco di Reggio del VI secolo a.C., di famiglia aristocratica, ha vissuto alla corte di Policrate (o del padre di lui, Eace) a Samo, finché questi venne ucciso dai persiani nel 522. Il poeta viaggiò così per la Magna Grecia in cerca di altre corti. Secondo la leggenda, la sua morte, seppure avvenuta in tarda età, avvenne per mano di ladroni, i quali vennero scoperti per l'intervento di uno stormo di gru.
La leggenda nasce forse per l'analogia tra il nome del poeta ed il nome, appunto, di una specie di gru. Le sue composizioni poetiche celebrative - restano 100 frammenti di poesie, tra i quali un lungo encomio al figlio di Policrate - secondo gli antichi compilatori erano riunite in sette libri, si trattava di carmi lirici di contenuto eroico (encomii) e poesie d'amore sopratutto in lode della bellezza degli efebi.
Il contenuto della lirica di Ibico è essenzialmente erotico tanto da essere accusato corruttore della gioventù. Cantò la dea Diana, venerata a Reggio e, secondo alcuni storici, fu inventore di uno strumento musicale, di forma triangolare, chiamato ibicino.
Cicerone lo lodò, considerandolo il poeta d’amore più ardente tra tutti i  poeti della Calabria e della Magna Grecia. Ecco come lo vede Ateneo dal suo punto di osservazione culinario:
“Alcmano pure asserisce che gli dei 'mangiano nettare', ed anche Saffo: 'qui rimase una coppa per miscelare ambrosia, piena, mentre Ermes afferrò la brocca per servire gli dei'. Omero sapeva che il nettare era solo una bevanda divina ed Ibico afferma, esagerandone le doti, che l’ambrosia è nove volte più dolce del miele, quando dice che il miele è la nona parte in dolcezza dell'ambrosia” (39, b; op. cit.)
LE COMPOSIZIONI POETICHE DI IBICO
VIOLENZA DI EROS
A primavera i cidonii meli irrigati e le correnti dei fiumi, delle Vergini nel giardino intatto, e le viti in germoglio sotto gli ombrosi tralci pampinei crescono fiorenti. Ma per me Eros non riposa in alcuna stagione: e, come per folgore infuria il tracio Borea, balzandoda parte di Cipride con ardente follia, tenebroso spietato possente nel profondo domina l’anima mia.
VIOLENZA DI EROS (altra traduzione)
Di primavera, i meli cidonii, fra le irrigue correntie fluviali, ov’è il giardino delle Vergini intatto, e i pampini, graniti entro il segreto ombroso dei tralci, dànno fiore. Non sa, per me, stagione al sonno Amore. E' come il tramonto che divampa di folgori: impavido, fosco, sfoga da Cipride con aride follie. Vigile guarda, già dalle radici di puerizia, il cuore...
(I lirici greci, traduzione di F.M.Pontani, Einaudi, Torino, 1969)
                                        
INSIDIE DI EROS
Eros, ecco, di sotto le azzurre palpebre struggenti sguardi lanciandomi con mutevole fascino in reti inestricabili mi getta, preda per Cipride. E io pavento il suo assalto, come cavallo aggiogato carico di vittorie, che preso a vecchiaia suo malgrado sotto il carro veloce muove a gara.
                                            
COME IL VENTO DEL NORD ROSSO DI FULMINI
A primavera, quando l’acqua dei fiumi deriva nelle gore e lungo l'orto sacro delle vergini ai meli cidonii apre il fiore, a altro fiore assale i tralci della vite nel buio delle foglie; in me Eros, che mai alcuna età mi rasserena, come il vento del nord rosso di fulmini, rapido muove: così, torbido spietato arso di demenza, custodisce tenace nella mente tutte le voglie che avevo da ragazzo.


EURIALO
Eurialo, fiore e ansia delle cerule Càriti dalle belle chiome, Cipride e Péito dai mansueti occhi tra rose fiorite ti allevarono. (Lirici greci tradotti da S. Quasimodo, Mondadori, 1965).


- GLAUCO, di lui si conosce l'opera “Intorno agli antichi musici e poeti”, di cui purtroppo conserviamo solo pochi frammenti.
- CLEOMENE  fu contemporaneo e amico di Alessandro Magno. Delle sue opere non ci sono giunti frammenti, viene ricordato come autore di ditirambi, di un commento al poema di Esiodo e di biografie dello stesso.


                      LEGISLATORI  REGGINI


Tra i cittadini illustri della Reggio della Magna Grecia, si annoverano coloro che si distinsero nella formulazione delle leggi destinate non solo ai propri concittadini, ma anche alle popolazioni delle altre città della famosa Regione.
Dei legislatori reggini si conoscono solo sei nomi, ma non è da escludere che ce ne siano stati molti altri, ai quali non si attribuisce la cittadinanza reggina in quanto divenuti, per vari motivi, famosi in località diverse dalla natia.
- ANDRODAMO, Primo in ordine cronologico. Secondo quanto detto da Aristotile nel secondo libro della Politica, egli scrisse leggi per i Calcidesi che vivevano nella Tracia. L’unica sua opera giunta ai posteri è una raccolta di leggi intitolata “ De caede et de haereditatibus”.
- TEETETO, filosofo e legislatore  che visse Intorno alla centesima Olimpiade. Secondo alcuni critici storici fu amico di Platone il quale gli intitolò il libro primo della Scienza.
- ELICAONE e FITIO, Ancora meno notizie si hanno di Elicaone e di Fitio citati da Giambico, iniziatore del neoplatonismo, nel suo libro “De secta Pythagoreorum”,  come fondatori delle Repubbliche Reggine, poiché ebbero il compito di procedere alla riforma delle leggi e degli ordinamenti che venivano superati di volta in volta dal succedersi degli eventi.
Altri due illustri filosofi e legislatori Reggini furono ARISTOCRATE, di cui si tratta in un capitolo della vita di Pitagora di Giambico, e IPPARCO che, vissuto intorno al 380 a. C., venne espulso dalla Scuola Pitagorica per aver reso noti i segreti della scuola stessa. Per questo motivo fu considerato morto prima di esserlo e gli fu dedicata una colonna sepolcrale. Anche Liside con una sua lettera lo rimproverò, dopo l’espulsione, pregandolo di essere diverso perché anche lui non fosse costretto a considerarlo morto.Di lui Stobeo ha lasciato molte sentenze relative alla sua personalità e alla sua onestà.