sabato 10 settembre 2016

DAL PRIMO VOLUME DI “REGGIO CALABRIA BELLA E GENTILE” DI ENZO LAGANA’ E ENZA BARBARO EDIZIONI SINEFINE PAGINA 69. VITA DEI “CAFFE’” NELLA VECCHIA REGGIO DI GAETANO SARDIELLO

Gaetano Sardiello

Deputato del Parlamento italiano
 Nato a Catania (Sicilia) il 6 ottobre 1890 Deceduto il 23 agosto 1985 a Reggio Calabria Laurea in giurisprudenza; avvocato. Il suo studio era in Via Crocefisso a Reggio Calabria




Nello sfondo bisogna pensare la vita semplice, ma pur appassionante, di quasi cinquant’anni or sono (qualche anno prima che il terremoto, sconvolgendola, la trasformasse) nella piccola cittadina di provincia, di cui gli aspetti esteriori prendevano spesso toni caratteristici, alcuni quasi stagionali, da colori, da odori diffusi per le strade, da voci che parevano familiari anche quando più estranee…
Vita di un piccolo mondo che si alimentava, come di autentiche profonde passioni, dell’amore e del gusto dei “trattenimenti” nei circoli di riunione, delle scampagnate in occasione delle feste nazionali, della stagione lirica teatrale, della musica in piazza, nell’orgoglio delle “banda cittadina” tradizionalmente diretta da insigni maestri…
e che, nello stesso tempo, a quei sorrisi d’arte e di vita associava il più fervido ardore della lotta nei contrasti politici ed amministrativi, che improntavano la cronistoria del tempo….
     Punto d’incontro di molte personalità in vista (uomini della politica, artisti,professionisti, studiosi in cerca di distrazioni, elegantoni che amavano mettersi in mostra e soprattutto giornalisti, che vi facevano quasi il centro di raccolta e di trasmissione delle notizie nonché il saggio dei relativi commenti) erano i CAFFE’…Reggio ne ebbe, per la sua vita di allora, diversi e caratteristici, allineati lungo il Corso Garibaldi nel quale la vita cittadina si accentrava. Non dirò di quelli di un tempo più antico allora già scomparsi e senza lasciare ricordo tranne la BIRRERIA :
un ritrovo di pochi vani davanti un atrio ombreggiato, in un angolo della “piazzetta” (come allora veniva intesa la Piazza Italia) e che negli anni ai quali mi riferisco, se ancora serviva méscite, lo faceva soltanto per una cerchia ristretta di frequentatori, avendo già, se non del tutto abbandonato, profondamente modificato la sua antica destinazione, divenendo sede delle prime organizzazioni socialiste (il partito, la Camera del lavoro) talché ai tavoli o nella saletta più grande, e qui per discutere o comiziare od ascoltare conferenze, assai raramente si vedevano volti diversi dai consueti, tra i quali immancabili MATTEO PAVIGLIANITI, il barone Peppino Mantica, Bruno Surace, Davide Pompeo, Luigi Crucoli, i pionieri reggini, insomma, dell’azione socialista.







REGGIO CALABRIA 11 NOVEMBRE 1956 - LA MORTE DEL POETA MATTEO PAVIGLIANITI E I SUOI “SPECIALI” FUNERAL

Fu l’occasione ultima per Nicola Giunta e Gaetano Cingari,per recitarne le  virtù nel discorso di estremo saluto  per l'amico  e ispiratore, la’, in  Piazza  Castello, dove  i compagni  socialisti  avevano portato ed  accompagnato  il  feretro  da Via Macello, luogo del suo domicilio, superando il Calopinace,  percorrendo quella parte  di Corso  Garibaldi  che  era  stata il  "Salotto di Don Matteo". Tutti i proprietari degli esercizi pubblici  della   strada,  a  quel  passaggio, chiusero i negozi in segno di lutto, commentando, qualcuno in lacrime, la perdita di un grande amico, un grande uomo che usava verseggiare incontrandoli. Tengo a dire, per dovere di cronaca, che il prete pro tempore della vecchia e baraccata chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Via Galileo Galilei, chiamato dalla nipote Annina, del poeta intendo, che, tra l’altro, era buona amica del sacerdote ed una affezionata fedele di quella chiesa, non volle benedire la salma, ne officiare i servizi funebri perché il defunto era un socialista, dicendole chiaramente :” Mi dispiace Nannina, ma tuo zio era socialista e non posso officiare”. Furono i compagni di partito a dirottare il feretro, trainato da carrozza e cavalli, che  senza aver cura delle proteste dell'uomo, conosciuto  come ‘U CAVIALI, che stava  a  cassetta. Realizzarono  una pacifica protesta alla chiesa cattolica, fermando la bara, con una sosta di pochi minuti, di fronte alla cattedrale, tale da sembrare una scena da film, più recente, di "Don Camillo e l'Onorevole Peppone". Erano di quelle cose che, facilmente, accadevano nella vita pratica di quel tempo, ma senza alcuna violenza, perché i militanti dei partiti socialcomunisti erano considerati dalla chiesa di Roma eretici e fuori dalla legge di Dio. Sta di fatto che per Matteo Paviglianiti fu come una seconda e ultima purga"; fu punito in vita e in morte, dal fascismo  prima e dalla chiesa di Roma nel suo trapasso dopo.



Salvatore Marrari  RC 1 maggio 2007



















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martedì 6 settembre 2016

REGGIO CALABRIA 6 SETTEMBRE 2016 - RISCOPRIRE LA VECCHIA CITTA'

Ci sono dei momenti nella vita che, per un piccolo gesto, si aprono tanti ricordi e si rivede un passato riportato alla ribalta dai tuoi pensieri; come se ci ritrovassimo dietro un proiettore da film che, su di uno schermo, invia immagini di un tempo che fu. Il paragone, a mio parere, regge perché se vogliamo meditare per qualche istante su questi meccanismi, scopriamo che il proiettore con la pellicola è il nostro cervello che ha incamerato il passato, il bianco schermo è la realtà della vita attuale e il film è il passato che ritorna in visione. 
Dalla pubblicazione su Facebook di una particolare foto scattata il 5 settembre del 1937 che raffigurava il matrimonio dei miei genitori, Nuccia Minuto e Domenico Marrari, ho rivisto i volti di alcuni familiari, nonni, zii e prozii e il mio cervello ha cominciato a proiettare su quello schermo dianzi menzionato alcune realtà vissute tra l'infanzia e la giovinezza. Ho rivisto e ne ho sentito anche le voci di zio Santo Laganà e della di lui consorte zia Carmela, lui fratello della mia nonna materna Fortunata Laganà, quindi zii di mia madre. Ho percorso mentalmente le stradine di quel piccolo rione reggino, dove loro abitavano, denominato Tre Mulini, dove si andava spesso con mia madre a salutare loro e i cugini; ma c'era un giorno dell'anno molto particolare durante il quale ci si incontrava e con tutte le truppe di figli e cugini, era il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. La loro famiglia e quella di mio nonno, quindi anche io con mia madre, si andava a quella chiesa di Tre Mulini alle sei di mattina, si facevano le usuali adorazioni e poi tutti a casa di zio Santo Laganà il quale ci portava nella vigna di fronte alla vecchia abitazione e mesceva il vino novello, un frizzantino rosso che punzecchiava il palato anche di noi bambini. Poi alle nove circa, a piedi come all'andata, si rientrava al rione San Pietro dove, nelle nostre abitazioni, ognuno "impastava" le prime crispelle dell'anno in odore del Natale in arrivo e che già bussava dietro la porta.
Questo pomeriggio del 6 settembre 2016, a piedi come una volta, son partito dal Rione Sbarre Centrali, zona Loreto, con la ferma intenzione di raggiungere la vecchia Tre Mulini ricordando l'accesso attraverso le scale di pietra raggiungibili dopo aver fatto tutto il viale Amendola verso nord. Raggiunto il punto della mia meta, mi son fermato sotto quelle scalette a due rampe per effettuare qualche scatto fotografico quando qualcuno ripeté il mio nome a voce alta. Il signore che interloquiva non era tra mie conoscenze, mi sono avvicinato e fu cortese nel dirmi che mi seguiva nelle mie pubblicazioni fotografiche e, in special modo, negli scritti che raccontano della vita e della poesia del mio prozio poeta Matteo Paviglianiti. Chiesi il suo nome, Demetrio Campolo architetto libero professionista, e nacque tra noi una intesa cordiale che ci trovò dello stesso parere sulla storia di Reggio, sulla cultura o pseudo tale di alcuni personaggi che credono di possedere tutte le conoscenze antiche, su alcune pubblicazioni, sui rioni minimi che hanno perso la loro reale faccia di un tempo distrutta dal nuovo cemento armato, dalle delocalizzazioni, dalle così dette modernità. Spiegai del perché mi trovassi in quel luogo e con la sua guida entrai in quei vecchi vicoletti abbandonati, sovrastati da nuove strutture, dai palazzi dell'università, dal Planetario Pythagoras, ma riuscii comunque, col valido aiuto del mio accompagnatore Demetrio, a ritrovare la vecchia casa degli zii Laganà. C'erano delle persone dentro che giocavano a carte, furono gentili, era divenuta una specie di osteria, una bettola, e alle nostre domande ci diedero le informazioni che cercavo, si, avevano conosciuto lo zio Santo, i suoi figli e quella in cui si trovavano era la vecchia abitazione dei Laganà. Spostandoci, l'amico, mi fece conoscere due signore incontrate proprio sulla via dei Tre Mulini, il cui cognome era anche Laganà, figlie di cugini dello stesso ramo dei miei parenti. Quanto è piccolo il mondo e quanto è bello il rapporto umano che trovi in questi piccoli rioni dove tutti si conoscono e dove tutti credono fermamente all'amicizia e all'amore verso il loro prossimo. 
Naturalmente ho colto qualche immagine del degrado e dello scempio creato dall'uomo che si definisce "avido di cultura". Della vecchia Reggio rimane ben poco e di quelle case di fine '800, costruite col sudore della fronte e con tanti sacrifici, fatte di "petri e matu"(sassi e fango), rimane ben poco per cui invito i miei cari concittadini di andare alla riscoperta dei nostri vecchi borghi. Abbiamo tanta storia, quella vera che si ritrova in mezzo alla strada e tra la gente comune, dai cui racconti si possono trarre grandi esperienze e tanti bagagli  culturali da valorizzare nel futuro che ci riserva la vita. Grazie amico di averti trovato sul mio cammino, grazie Demetrio Campolo, mi hai dato tanto in quella ora che gentilmente mi hai fatto da guida e per chiudere voglio citarti Matteo Paviglianiti.

                                                   ‘U  PRUGRESSU


                        Santu prugressu chi facisti fari !
                        L’umanità facisti mbizzarriri,
                        tu senza rrimi li fa’ navicari,
                        facisti mi si perdi la so’ firi.

                        A sezu inversu or’è lu so’ duviri,
                        spariu dill’occhi chiddhu verbu amari,
                        ‘u visu di la ggenti cchiù non rriri
                        di chiddh’amuri ch’era seculari.

                        Su’ tutti mbilinati ‘i sapienza,
                        comu li tocchi spruzzunu lu feli,
                        chi puru ‘a mamma perdi la pacenza,
                        cu’ ddha buccuzza sua china di meli.

                        Tu crisci ‘i figghi comu tanti sciuri,
                        crirendu chi prufumanu la casa,
                        e nta lu pettu tu senti l’amuri,
                        chi pari chi lu cori si travasa.

                        Era, ‘na vota, ‘a casa ‘na fuleja,
                        china di paci e china d’armunia :
                        ora cu voli a Cristu si lu prea,
                        e ognunu si ndi vai pi’ la so’ via…

Poesia tratta dal libro 'U SPECCHIU D'A VITA del 1938

Salvatore Marrari  RC 6 settembre 2016












La vecchia casa di zio Santo Laganà


La vecchia casa di zio Santo Laganà