martedì 29 maggio 2012

PERSONAGGI REGGINI DI UN TEMPO CHE FU...MATTEO PAVIGLIANITI di Salvatore Marrari



















PERSONAGGI  REGGINI  DI  UN TEMPO  
             CHE   FU… MATTEO PAVIGLIANITI 
                                        (Reggio Calabria 11 maggio 2012)

L'indimenticato (per noi parenti, ma non per la cittadinanza reggina) Matteo Paviglianiti (1/5/1874 - 11/11/1956) ha dedicato la sua vita al lavoro di barbiere, alla poesia dialettale ed all'allora emergente politica socialista. Autodidatta, ma fine dicitore e filosofo, cantore in positivo delle realtà, delle identità e delle consuetudini reggine, Matteo era un fedele, non ecclesiastico, del buon Dio, presente in ogni suo verso. Le sue pubblicazioni, oggi conservate alla biblioteca comunale della città, sono "U specchiu d’a vita"(1938) e "Lacrimi"(1933). Fu tra gli otto fondatori del Partito Socialista di Reggio Calabria che, per motivi di sicurezza, lo chiamarono “cooperativa”. I suoi amici e cofondatori furono Alfredo Tripepi, Giovanni De Maria, Francesco Romeo, Sangrì, Giovanni Crea, Bruno Surace (presidente) e Nino Spanò, lui medesimo ne era il cassiere. Si riunivano in clandestinità, appunto, come cooperativa "La Vittoria" e, successivamente, dopo il 1918, "Vittorio Veneto" nella "Piazzetta", oggi "Piazza Italia"(era il 1914). Il suo salotto era quella parte del Corso Garibaldi che va dal ponte Calopinace sino a Piazza Camagna; anche  il suo negozio lo fu ed era sito in Via Apromonte n° 10 (la strada che da piazza Garibaldi porta alla scuola elementare E. De Amicis). Qui, nel suo salone, nel Bar Giorgio, famoso per un pupazzo attaccato all’ingresso che con la lingua fuori leccava un finto cono gelato ('u bar du' pupu chi ddhiccava 'u gelatu), presso la casa delle bibite "Quattrone", rinomata per le sue gassose chiuse a pressione da una pallina (i' cazzusi ca' pallina) e nel bar Margheriti, tutti e tre di fronte alla Villa Comunale Umberto Primo, s'incontravano gli intellettuali del tempo. Il poeta veniva attorniato da giovani emergenti quali : Nicola Giunta (4 /5/1895 - 31/5/1968), prima baritono d'opera), Franco Saccà, Domenico Martino, Giuseppe Morabito, Gaetano Cingari, i due professori, cugini, Francesco De Stefano (detto Ciccio barbitta) e Domenico De Stefano (insegnate di lettere e filosofia), autore, tra l'altro, di una prima recensione sul poeta scritta nel 1949  intitolata "La  poesia di Matteo Paviglianiti". Con Nicola Giunta, ventuno  anni più giovane, era nata un’amicizia seria e burlona, caratterizzata  da una serie di  aneddoti, che durò quasi mezzo secolo, sino alla morte del poeta. 
Occasione ultima di Giunta e Cingari, per recitarne le  virtù nel discorso di estremo saluto  per l'amico  e ispiratore, la’, in Piazza Castello, dove i compagni  socialisti  avevano portato ed accompagnato il feretro da Via Macello superando il Calopinace (abitazione  del  defunto ), percorrendo quella parte  di Corso Garibaldi che  era stata il "Salotto di Don Matteo". Tutti i proprietari degli esercizi pubblici della   strada,  al  suo  passaggio, chiusero i negozi in segno di lutto, commentando, qualcuno in lacrime, la perdita di un grande amico, un grande uomo che usava verseggiare incontrandoli. Tengo a raccontare che il prete protempore, della vecchia e baraccata chiesa del Sacro Cuore di Gesù di Via Galileo Galilei, non volle benedire la salma, ne officiare i servizi funebri perché il defunto era un socialista. Furono i compagni di partito a dirottare il feretro, trainato da carrozza e cavalli, che  senza aver cura delle proteste dell'uomo, conosciuto  come ‘U CAVIALI, che stava  a  cassetta. Realizzarono  una pacifica protesta alla chiesa cattolica, fermando la bara con una sosta di pochi minuti di fronte alla cattedrale, tale da sembrare una scena da film…tipo "Don Camillo e l'Onorevole Peppone". Erano di quelle cose che, facilmente, accadevano nella vita pratica di quel tempo, ma senza alcuna violenza, perché i partiti socialcomunisti erano considerati dalla chiesa di Roma eretici e fuori dalla legge di Dio. Sta di fatto che per Matteo Paviglianiti fu come una seconda e ultima purga"; fu punito in vita e in morte, dal fascismo  prima e nel suo trapasso. A questo punto, è d’obbligo raccontare perché fu costretto ha ingerire l’olio di ricino, sorbendolo, assieme a Nicola Giunta; i fatti avvennero come qui di seguito descrivo…Si trovavano entrambi nei pressi di Piazza Garibaldi insieme ad altri amici intellettuali e di partito, quando un’automobile di colore nero, Fiat Balilla, bloccò loro il passo, ne scesero alcuni fanatici con “camicie a lutto" (così, Don Matteo, definiva quel modo di vestire) e il più "ardito" tra loro, certo Pitea, intimò solo a loro due, ritenuti capi ribelli, di salire in macchina che li avrebbero portati a “banchetto” invitati presso la Federazione di Piazza del Popolo. Matteo e "Nicolazzu" (così Don Matteo usava chiamare l'amico Giunta) si guardarono in faccia con tutta la rabbia che quegli individui avevano loro stimolato e, non potendo far altro, si arresero, avendo capito il progetto quindi si accomodarono sui sedili posteriori dell'auto. Furono portati davanti  al federale Paolo Quarantotto, trasferito a Reggio per dare una svolta al lassismo ed alla disubbidienza dei cittadini, fu dato loro il classico bicchiere da quarto colmo di olio di ricino, servito con un ghigno proprio dal fanatico Pitea. Il carattere opposto dei due "invitati" segnò due reazioni diverse, il buon Matteo Paviglianiti, sornione e attento, sorseggiava  il liquido come se stesse bevendo del buon vino rosolio, Nicola Giunta lo mandò giù tutto d'un fiato e, strabuzzando gli occhi per la nausea, sbottò con la frase rimasta famosa nel tempo : "Avete purgato il mio corpo, non il mio spirito" e, osservandolo Don Matteo, contrariato per la soddisfazione che stava dando agli astanti, a sua volta sibilò con un tono di stizza : Ma quantu si fissa ! (ma quanto sei fesso) Era  il 31 maggio 1940. Dopo  tanti  anni  dalla  scomparsa, alcuni  reggini  lo  ricordano  ancora per quello che il poeta era stato: un uomo mite, nobile d’animo, buono e solo  coi suoi pensieri di gioventù, quando aveva amato Elena Stracuzzi. La gentil donna che lo ricambiava, ma costretta dalla famiglia, a maritarsi ad un sottufficile di cavalleria ed a vivere a Pinerolo, città in cui era di stanza il reggimento del coniuge. Questo, tra gli altri suoi dolori, guerre e terremoto del 1908, che gli fecero perdere parte dei suoi familiari, lo resero cardiopatico; non sposò, ma tenne, perennemente, nella sua cameretta la piccola foto della donna che non aveva mai dimenticato. Più volte gli fu domandato il perché non si fosse accasato e, molto pacatamente, rispondeva che la sua prima e unica fidanzata era morta di tisi e lui aveva inteso renderle onore rimanendole devoto sino alla morte. 
Nel 1960, Elena, rimasta vedova, ritornò a Reggio Calabria, presso  parenti, e lo cercò nel salone di barbiere dove probabilmente aveva lasciato i suoi ricordi. Ma l’esercizio era ormai gestito dal di lui nipote Domenico Marrari, mio padre; non può far altro che constatare che il suo Matteo era già passato a miglior vita e, tristemente delusa, racconta sedendosi, la storia del loro amore impedito dalla volontà paterna. 
Il tempo affievolì i dolori di Don Matteo, un uomo di grande energia e mentalmente aperto al mecenatismo, dall'aspetto pirandelliano che fece sempre il possibile per aiutare anche finanziariamente chiunque volesse intraprendere una carriera di scrittore. Alla sua morte, avvenuta l’11 novembre 1956, fu trovato un biglietto sul comodino della sua camera con queste ultime parole : " Amore, carità e perdono furono la mia fede", parole che si possono leggere, ancora oggi, sullo sbiadito marmo della sua tomba nel cimitero di Condera in Reggio Calabria e che fece incidere suo nipote, mio padre, Domenico Marrari . Matteo Paviglianiti era il fratello di mia nonna Antonia Paviglianiti Marrari. Curioso fu il luogo della sua morte, morì seduto sul gabinetto del bagno colto dal malore che lo attanagliava già da due giorni, la sua cardiopatia trasformatasi in un infarto. Don Matteo se ne andò povero come era nato, nell’umiltà che fu la caratteristica della sua vita e, ora, mi vengono in mente alcuni versi di una sua poesia “A CASA UNDI NASCIA”…
                                            ……….                                            
                                            ‘Na stanzetta scura, scura,
                                            ch’era priva puru ‘i luci,
                                            niri niri ‘i quattru mura
                                            cu ‘nu Cristu misu ‘a cruci.

                                            ‘Na buffetta, un letticeddhu,
                                            un barò cu la me’ svigghia,
                                            quattru seggi, un tavuleddhu:
                                            rrobba vecchia di famigghia.
                                                                                 …….

                                                                             Salvatore Marrari  

lunedì 28 maggio 2012

NICOLA GIUNTA, L'UOMO, IL POETA, IL REGGINO...








NICOLA GIUNTA,  L'UOMO,  IL POETA,  IL REGGINO...
di Salvatore Marrari

"Al mio amico Nicola Giunta anima vulcanica, ma fresca come l'acqua di fonte" - Così scriveva, in una dedica, Matteo Paviglianiti, sulla foderina di un suo libro donato a Nicola. I due erano amici per la pelle, ma di differente età e carattere. 
Nicola Giunta nasce a Reggio Calabria il 4 maggio 1895 e della sua vita da giovinetto si conosce poco o nulla. Inizia la sua vita artistica e studia al conservatorio di Napoli per "attore lirico"(questa era la qualifica dei cantanti d'opera), lo aiuta la sua voce di baritono che lo porta a calcare tanti teatri italiani e qualcuno straniero, Londra per l'esattezza. Ma, ad un certo punto di questa nobile carriera, si accorge che la sua vera indole è quella dello scrittore con l'uso del vernacolo che, comincia ad apprendere, nella fase iniziale, dal suo più anziano amico poeta Matteo Paviglianiti, più vecchio di ventuno anni. Fu quest'ultimo a dargli le prime idee socialiste in quanto fondatore del partito nel 1914 assieme ad altri sette compagni. Proprio per questo motivo e per le forti amicizie con intellettuali di sinistra, fu preso con "Don Matteo" e purgato con olio di ricino.  I fatti avvennero come qui di seguito descritto : si trovavano nei pressi di Piazza Garibaldi Matteo Paviglianiti, Nicola Giunta ed altri amici quando una Balilla, esemplare d'auto FIAT del 1932, nera bloccò loro il passo e ne scesero alcuni fanatici con camicie "a lutto" (così, Don Matteo, definiva quel modo di vestire) e il più "ardito" tra loro, certo Pitea, detto" 'U tri 'i mazzi"(il tre di mazze), intimò solo ai due intellettuali di salire in macchina perchè erano stati invitati a "banchetto" presso la Federazione di Piazza del Popolo. Matteo e "Nicolazzu" (così Don Matteo usava chiamare l'amico Giunta) si guardarono in faccia con tutta la rabbia che quegli individui avevano loro stimolato e, non potendo far altro, si arresero, avendo capito il progetto e salirono sull'auto. Furono portati davanti al federale Paolo Quarantotto (portato a Reggio per dare una svolta al lassismo ed alla disubbidienza dei cittadini) e fu dato loro il classico bicchiere di un quarto colmo di olio di ricino, proprio dal fanatico Pitea che esordì dicendo : " Cari cittadini, in questo preciso momento, avete l'onore di essere saziati al cospetto del nostro federale e non in pubblica piazza". Il carattere opposto dei due "invitati" segna due reazioni diverse, il buon Matteo Paviglianiti, sornione e attento, sorseggia il liquido come se bevesse del buon rosolio, Nicola Giunta lo manda giù tutto d'un fiato e, strabuzzando gli occhi, esclama  : " Avete purgato il mio corpo, ma non avete purgato il mio spirito" e, osservandolo Don Matteo, contrariato per la soddisfazione che stava dando agli astanti, sbottò : " Ma quantu si fissa !", era il 31 maggio 1940.
Ma la storia continua, Nicola Giunta conosce tantissimi intellettuali durante la sua carriera di cantante e ne fa uso per la sua nuova attività di poeta e scrittore. Scrive libri e crea delle ottime pubblicazioni, tra il 1920 e il 1927 produce e recita commedie in vernacolo e raggiunge il massimo in quelle stagioni teatrali, vivendone intensamente il successo. Scrisse anche tante canzoni che gli furono musicate da Giuseppe Travia e Pasquale Benintende e lanciate in occasione della "Settembrata Calabrese", effettuata e organizzata da lui medesimo nelle strade reggine del 1944. Fatta questa nuova esperienza, si accorge sempre di più di essere portato a scrivere e poetizzare e, sempre affiancato da Matteo paviglianiti, produce scritti lirici e favolistici dividendo le sue opere in "Poesie" e "Fauliàta", distinzione che raccoglie, sempre in vernacolo, poesie, pensieri e favole, in queste ultime, come Trilussa o come Fedro, fa parlare animali e cose. Ciò che più risalta è la sua anima "vulcanica" e, tra un'allegoria ed un sarcasmo, tutti vengono più o meno sfottuti e "mazziati" in special modo i nostri cari concittadini di Reggio Calabria : Chistu è 'u paisi undi si perdi tuttu... Nta 'stu paisi nc'esti sulu 'a pìria... 'U paisi 'i Giufà... 'A funtana 'i Rriggiu... Priéra p'a funtana...
Giunta divenne direttore della Biblioteca civica di Reggio Calabria (oggi Biblioteca Pietro De Nava) dove, durante la sua attività, ebbe modo di conoscere altri intellettuali italiani, tra cui Benedetto Croce, Guido Mazzoni, Raffaele Corso e Giuseppe Casalinuovo. Fu in questi anni che, riconoscente verso il carissimo amico Paviglianiti, volle depositare le pubblicazioni "Lacrimi" e "'U specchiu d'a vita", catalogandoli, tra le raccolte centenarie dei grandi intellettuali che la nostra terra aveva prodotto, poeti e scrittori che fecero di Reggio Calabria una città di cultura sotto l'insegna dei forti ruderi dell'età magno-greca. Ancora più grato verso l'amico, decise di depositare i suoi, personali, che aveva avuto con dedica autografa dal "compagno di purga" e di tantissimi altri aneddoti e burle che fecero assieme, mai mancando, però, di amore e rispetto alla loro grande, reciproca amicizia. L'universo dialettale di Nicola è il più popolare possibile, dedicato alla sua gente ed alla sua città che ama profondamente a prescindere dalle sue autorevoli e continue rampogne. IL Corso Garibaldi, il Ponte Calopinace, la villa comunale Umberto I, Piazza Camagna, il Bar Margheriti, il Bar Giorgio, La casa delle bibite Quattrone(quì si produsse la famosa "Cazzusa ca' pallina"), il mercato coperto(diventato poi scuola media Spanò Bolani) ove soleva fare acquisti di ortaggi e frutta con la sua Marietta, vecchia e fedele persona di servizio, tra i giardini pubblici e il palazzo della Croce Rossa Italiana, sono stati il suo vero e spettacolare universo, i luoghi nevralgici d'incontro con gli amici, poeti e scrittori, con i quali dialogava e con cui si progettavano e si esprimevano nuove idee politico-letterarie

Chist’è ‘u paisi undi si perdi tuttu,
aundi i fissa sunnu megghiu i tia,
‘u paisi 'i “m’incrisciu e mi ‘ndi futtu”
e tutti i cosi sunnu “fissarla”…”
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O riggitani, dopu tanti peni,
facistuvu ‘nt’on largu ‘na funtana
chi piscia propriu comu veni veni
pi tutt’a notti e ppa iurnata sana…

Il poeta  finisce  di vivere il  31 maggio del 1968 tributato da cittadini illustri e non, ma  se ne va  quasi in silenzio, senza  parenti e  familiari, infatti non sposato, aveva condotto la sua vita in compagnia della vecchia mamma Ippolita Catanoso, poi, rimasto solo, si era abbandonato in casa tra l'ordine-disordine delle sue cose. Quando fu svuotato l'appartamento, tutti i suoi cimeli, le sue onorificenze, i suoi scritti inediti, tantissime raccolte, furono salvati dentro contenitori o sacchi, alla rinfusa, e portati alla custodia della Biblioteca Comunale reggina, dalla persona che negli ultimi anni gli era rimasto vicino, uno della corrente di quegli ultimi poeti che scrivevano sulla scia di Nicola Giunta e Matteo Paviglianiti. Il corpo del poeta  dorme il suo sonno profondo in un loculo del cimitero di Condera in Reggio Calabria ove, scaduti i termini di sepoltura, è stato premiato dal Comune reggino, su proposta di qualche benemerita associazione, con una proroga di giacenza ; se non ci fosse stata tale richiesta, sono certo, le sue ossa sarebbero state disperse nell'ossuario generale. Quì devo sbottare con una critica personale e rivolgermi a tutte le "pseudo autorità" di questa città che poco hanno fatto, poco fanno e poco faranno per il recupero della cultura reggina attraverso i suoi grandi, poeti e scrittori, ricordandoli, magari, intitolando loro qualche misera stradina o vicoletto, non si chiede molto, questo è il ritratto amaro della città che Giunta tanto amò, ma che non seppe fare altrettanto con lui. Fu un altro grande reggino, il professor Gaetano Cingari, anch'esso discepolo di Matteo Paviglianiti, a tramandare ai posteri quella poesia, recitandola a memoria in varie occasioni. Leopardi si lamentò...come grande è il mio lamento...lui con la natura, io con chi di dovere : "O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor ? perché di tanto inganni i figli tuoi ?

Salvatore Marrari 19 maggio 2012

Riprendo a scrivere dopo qualche annetto che ho redatto questa breve, ma meritata biografia, per correggere in un punto qualche rigo dettatomi o dalla malafede o dalla insipienza (Totale mancanza d'impegno intellettuale o morale) o dall'informazione inesatta di un assessore alla cultura, parte politica di una precedente amministrazione comunale. Si tratta di questo : non è vero che l'affitto del loculo in cui giace il corpo di Nicola Giunta abbia avuto alcuna proroga da parte del nostro municipio. Personalmente, spostando i resti, a mie spese, del Poeta Matteo Paviglianiti, dal loculo originale ad un ossuario della congrega dell'Annunziata (giugno 2016), domandai agli impiegati degli uffici cimiteriali di Condera, quale fosse la condizione della tomba di Nicola Giunta. Mi fu, candidamente, riferito che agli atti risulta libera già dal 1998, praticamente dopo i trentanni previsti dalla morte; che nessuna proroga scritta è stata mai deliberata da quella Amministrazione comunale e che, grazie al loro buon senso, le ossa non sono mai state disperse. Mi è stato, ulteriormente, aggiunto che il loculo, a tutt'oggi, è libero da impegni, ma se qualcuno insistesse per averlo non è in loro potere attuare alcuna eccezione. Questo appunto è redatto oggi 29 aprile 2018 dal sottoscritto per amore di verità e non per aprire polemica alcuna. 

Salvatore Marrari  RC 29 aprile 2018

CHI ERAVAMO...STUDENTI IN PARATA…MA IL GLORIOSO “PIRIA” E’… di Salvatore Marrari



Antonio Marrari (in piedi) e Vittorio Zaccuri

Antonio Marrari (in piedi) e Vittorio Zaccuri

Vittorio Zaccuri, Franco Cicciù e Antonio Marrari

Gli attori Pino Sanzotta e Mimmo Calandruccio -
 dietro gli "Ariston" con Antonio Marrari in piedi
(poi si chiamarono I GIAGUARI)

Le Cantanti Maria e Rosa Cortese

Tutti gli studenti del Piria partecipanti alla manifestazione

Alla fisarmonica Enrico Puntorieri, accanto
Vittorio Zaccuri (chitarra) all'estremo
Antonio Marrari (chitarra)





CHI ERAVAMO...STUDENTI IN PARATA…MA IL GLORIOSO “PIRIA” E’… di Salvatore Marrari
Tutti sappiamo cosa sia la parola INTERVALLO applicata in ogni campo della vita e delle scienze: un intervallo di vita, un'azione intervallata da spazi, la vita stessa intervallata da alti e bassi, la  corrente alternata intervallata dalla fase, l'intervallo storico, l'intervallo delle ere geologiche, l’intervallo tra le ore scolastiche che, appunto, è ciò che ci interessa. Ma “INTERVALLO” era anche il titolo di un giornalino nato nel 1956 che raccoglieva articoli di cronaca studentesca di tutte le scuole dei dintorni e della provincia reggina. Fu quella redazione che organizzò presso il Teatro Comunale Francesco Cilea di Reggio Calabria, domenica 8 febbraio 1957, uno spettacolo studentesco, presentato dal prof. Carlo Vicedomini, che prendeva spunto dalla trasmissione radiofonica “IL CAMPANILE D’ORO”(competizione tra le regioni d’Italia)  e che si chiamò “IL CAMPANELLO D’ORO”(competizione tra le scuole superiori reggine), ricordante il suono conciliante con la nostra memoria che dava inizio all’intervallo e al suo termine, “sunava ‘a campaneddha”(suovana la campanella). I “neo artisti” si batterono orgogliosamente e generosamente con canti, suoni, recitazione, cabaret ( Due di essi, in seguito, entrarono a pieno titolo nel mondo del teatro e del doppiaggio cinematografico di quel tempo che si espletava anche sull'unico canale RAI ed a Cinecittà : Mimmo Calandruccio e Pino Sanzotta). Emerse e vinse la meravigliosa competizione il gruppo di studenti del glorioso Istituto Tecnico, per ragionieri e geometri, Raffaele Piria di Reggio Calabria (la mia scuola…orgogliosamente la mia scuola); alunni, forse, non troppo modello per quanto riguardava la resa e il profitto, ma maestri di sincerità che sapevano di organizzazione e affiatamento, socializzare e creare, a loro volta, socialità, sia per l'educazione avuta dalle famiglie sia per la disciplina “imposta” da un asse scolastico di validissimi docenti (Trombetta, Spanò, Palumbo, Vicedomini, Casalaina, Primerano, Chirico, Boccioli, Giovannella, Sidari, Gentile, Ferrara, Vitale, Calipari, Leone, Calafiore, Conci, ecc.), cui non mancavano ampiezze di metodo, vedute e cortesia nell'applicare l’ordine e la didattica, e dal meraviglioso preside Prof. Antonio Zuccarello. In quel gruppo non esistevano competizioni avverse o inimicizie o gelosie, tutti viaggiavano all'unisono perché emergesse la loro scuola, i loro insegnanti, il loro preside, la città tutta. Ricordo come fosse oggi quei meravigliosi ragazzi la cui età, al dì di oggi, si aggirerebbe dai settanta ai settantotto anni, nonni sicuramente, ma giovani nel cuore che, per le vicissitudini della vita, forse hanno perso i contatti, ma raccontano, come sto facendo io, ai loro posteri, le gioie trascorse in quel tempo che fu, con gli occhi della giovinezza e la voce tremula per il motivato "rilassamento" delle corde vocali. Il duo di chitarre Antonio Marrari(mio fratello maggiore) e Vittorio Zaccuri(poi diventati Trio con l'aggiunta di Franco Cicciu' chitarrista classico), i due attori, dianzi citati, Mimmo Calandruccio e Pino Sanzotta, il complesso musicale, per l'occasione Good Boys Ariston, formato da Enrico Puntorieri, tutt'oggi pianista di locali (fu in età postuma formato e corretto dal maestro Mario Bertolazzi), Cilione, Artuso, Nicolò, Minniti, Vazzana e Antonio Marrari ( mi scuso con gli amici di cui ho citato solo il cognome...ma il "seren della vecchiezza" non mi permette, in atto, di saperne di più), il cabarettista Franco Polimeni, il duo vocale “Sorelle Cortese”, Eleonora e Rosa Maria, una grande corale e tutto fare composta di ragazze e giovani eccellenti, Labadessa, Santoro, De Marco, La Nucara, Ginestra, Imbalzano, Calogero, Marcianò e Anna Maria Germolé( ricordo il nome di quest'ultima perché cugina ). Il 29 marzo di quel c.a. , il preside Zuccarello fu premiato col “Campanello d’Oro”, per i suoi ragazzi, dal sindaco della città on. avv. Domenico Spoleti , vi assicuro che quella era acqua pulita, fatta di una trasparenza oltremodo lucente ; quella gioventù non aveva grilli per la testa,  la loro vita era un regalo che andava preso a sorsi lenti e naturali, non ambivano ad avere successi, ma trasmettevano tutto l’amore possibile fatto di sorrisi e allegria goliardica, per nulla nocivi a persone o cose...oggi, se sono su questa terra, saranno certamente dei professionisti in pensione, dei signori “canuti e bianchi”, rispettabili persone di alta sapienza a cui non manca vivere il ricordo di questi tempi, dei loro tempi e, mi domando, dove saranno mai gli interpreti di questo spettacolo ? Ciao "Vecchie Glorie" !!!


Salvatore Marrari 28 maggio 2012

martedì 15 maggio 2012

MAGGIO IN FIORE A GALLINA DI REGGIO CALABRIA

















Mi trovai, per caso, il giorno 12 maggio 2012, con una videocamera, tra le piante e i fiori di casa Calluso-Marrari (Elvira ed Ezio), in quel di Gallina di Reggio Calabria. Ripresi tutto ciò che di colorato colpiva le mie fosche pupille, ormai andate per gli anni che hanno lavorato...foto...video...studio...lavoro e...ancora foto, video, schermo, digitalizzazioni e applicazioni varie. Estrapolare fotogrammi da un filmato è cosa facile e veloce...ciò che ho fatto per arrivare alle foto applicate in questa poetica composizione. Se poi alcuni versi poetici di Angelo Poliziano, adeguatissimi, mi sono stati d'aiuto per rendere chiaro il concetto della giovinezza, allora il tutto, rimane "cucinato" a dovere per rendervi edotti dei bei colori della nostra vita che il Grande Buon Dio ci ha voluto regalare :


I' MI TROVAI FANCIULLE...(di Angelo Poliziano)
I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino.


Eran d'intorno violette e gigli,
fra l'erba verde e vaghi fior novelli,
azzurri, gialli, candidi e vermigli,
ond'io porsi la mano a côr di quelli


per adornar i' mie' biondi capelli
e cinger di ghirlanda el vago crino.


Ma poi ch'io ebbi pien di fiori un lembo, 
vidi le rose e...non pur d'un colore,
io colsi, allor, per empir tutto el grembo
perch'era sì soave il loro odore...


...che tutto mi sentii destar el core
di dolce voglia e d'un piacer divino.


I' posi mente. Quelle rose, allora, 
mai non vi potrei dir quant'eran belle;
quale scoppiava della boccia ancora,
qual'eron un po' passe e qual novelle.


Amor mi disse allor: «Va', coi di quelle
che più vedi fiorite in sullo spino». 


Quando la rosa ogni sua foglia spande,
quando è più bella, quando è più gradita,
allora è buona a metter in ghirlande,
prima che la sua bellezza sia fuggita.


Sicché, fanciulle, mentre è più fiorita,
cogliàn la bella rosa del giardino.




Dunque, la rosa rappresenta la giovinezza, che va colta prima che sfiorisca.
E' un invito a godersi la vita prima che sia troppo tardi e possiamo collegarlo a una frase di Orazio, poeta latino, "Carpe Diem", ovvero "cogli l'attimo", oppure alla ballata di Lorenzo de' Medici, "Il Trionfo Di Bacco e Arianna", dello stesso periodo storico di "Io mi trovai, fanciulle" in cui si affronta lo stesso tema : a giovinezza.
PER VEDERE IL VIDEO CLICCA SUL LINK : http://www.youtube.com/watch?v=d1aR74kmiC8