sabato 24 settembre 2011

MA FA' CHIDDHU CHI VOI ! ( Ma fai ciò che vuoi ! )





In questo mondo di megalomania entra a puntino la poesia del poeta reggino Matteo Paviglianiti (RC 01/01/1874 - RC 11/11/1956). Un poeta che la città di Reggio Calabria ha conosciuto sino agli anni '50 e che ha apprezzato moltissimo per il grande amore verso il suo "territorio" : Il Corso Garibaldi, dal ponte Calopinace sino al Bar Margheriti, quest'ultimo ancora esistente di fronte alla Villa Comunale. Il poeta non fece mai critiche ai suoi concittadini come, invece, si espresse Nicola Giunta, spesso, in maniera aspra, ma seppe, filosoficamente e diplomaticamente, dare lezioni di vita, di modestia, di libertà, di capacità di discernimento morale ed apprezzamento dell'altrui operato quando il fine era la socialità e l'eguaglianza.
Don Matteo (così era chiamato dai conoscenti) barbiere di professione, raccolse, nel salotto di vimini del suo negozio un nugolo di giovani intellettuali che si alternavano nell'apprendimento di tutte le sue capacità umane e letterarie : Franco Saccà, Gaetano Cingari, Domenico De Stefano, Francesco De Stefano(barbitta), Giuseppe Morabito e tanti altri divenuti professori, poeti, scrittori, storici e, comunque, uomini di cultura. Scriveva in dialetto reggino per mancanza di studi, ma aveva a corredo una esperienza da autodidatta e il suo modo speciale di osservare l'uomo, gli animali, il territorio, la vita stessa che gli fu precaria per tante delusioni  : l'unico amore, Elena, mai dimenticato, il terremoto del 1908, la guerra del 1915, la cardiopatia che lo accompagnò per tutto il percorso dei suoi anni. Nicola Giunta stesso, più giovane di ventuno anni, lo frequentò facendosi discepolo del suo vernacolo, con il quale allacciò un bellissimo rapporto di amicizia e di scherzo e tra di loro non se le mandavano a dire, ma con l'assoluto rispetto del più giovane verso il "vate" più avanti negli anni. Nicolazzu, così era chiamato Giunta dal Paviglianiti, quando fu nominato direttore della biblioteca comunale depositò i libri di poesie, "U Specchiu da vita" e "Lacrimi", dedicati, che gli erano stati donati dall'autore, nella raccolta storica organizzata a supporto delle informazioni che riguardavano i poeti reggini. Il buon Matteo Paviglianiti fu socialista ideologico e di fatto, fu tra gli otto fondatori del partito a Reggio Calabria nel 1914 che, sotto falso nome, lo chiamarono "COOPERATIVA LA VITTORIA",  successivamente " COOPERATIVA VITTORIO VENETO"  e si riunivano nella birreria della "PIAZZETTA", così si chiamava allora PIAZZA ITALIA. Il suo amore per Elena fu grande, immenso, tant'è vero che lei, costretta a sposare un altro uomo per imposizione dei genitori, emigrò in Piemonte col marito, sottufficiale di cavalleria nel reggimento di Pinerolo. Non si dimenticarono mai: lui non sposò altra donna, lei, nella sua vedovanza, tornò a Reggio a cercarlo, ma Matteo era già deceduto da quattro anni. Bella storia di un grande reggino che circoli, letterati e istituzioni hanno dimenticato, ma in me il ricordo è caro per averlo conosciuto, alla sua morte avevo tredici anni, era il fratello di mia nonna paterna Antonia Paviglianiti e, naturalmente, zio di mio padre Domenico Marrari a cui aveva lasciato il negozio e a cui la povera Elena Stracuzzi si era rivolta per ricercare il suo grande amore di giovinezza. 
Se qualcuno ha voglia di ascoltare queste storie di "ADDIO GIOVINEZZA", mi può contattare anche per organizzare una serata ricordo, sarò disponibile a titolo gratuito. Si sappia che è mio intento dare un ruolo di merito al nome di Matteo Paviglianiti trovando il mezzo per far dedicare dalla toponomastica cittadina una "viuzza" o una "scalinata" nella sua Reggio Calabria, ove molte strade non hanno titolo o sono dedicate a persone che, avendo abitato in una determinata strada senza nome, ne hanno prestato il proprio per puro riferimento di reperibilità. 

MA  FA’ CHIDDHU  CHI  VOI  !                                


Si tu camini pi li fatti toi
e ch’a to’ testa sa’ chiddhu chi ffai,
tu non po’ fari mai chiddhu chi voi,
vonnu sapiri comu e p’undi vai…


Si ‘u ciriveddhu toi non è cumuni,
di tutta l’agnuranza si notatu,
puru lu sceccu ti chiama minchiuni
e non nci penza, no, s’iddhu è mbardatu.


Quandu ti ment’i supra ‘nu custumi,
vonnu sapiri comu lu ccattasti,
s’idd’è di filu, ‘i lana, s’è cuttuni,
si non dìcinu puru ch’u rrubbasti…


Qualunqui cosa fai, tu si nutatu,
ma nuddhu veni mi ti vard’a panza,
o si ssu cori toi ll’ha’ ‘dduluratu,
avogghia chi mmi campi di spiranza…


Si po’ voi mi ti fai ‘na caminata
e vai chi mmi ti carma ‘u sentimentu,
appen’arrivi a’ prima cantunata,
ti senti nta la ricchi com’un ventu…


Esti lu tagghia tagghia di vicini,
c’hannu la lingua chi, mancu li cani,
sunnu cuntenti s’iddhu fa’ la fini
mi si rrustutu vivu supra li rrami.


S’ambeci poi fa’ mbrogghi pi’ mi campi
e ccomu passi pari un milordinu,
avogghia ch’a rraffini mi ndi stampi,
p’aundi passi puzza lu caminu.


Ma fa’ chiddhu chi voi e non pinzari,
penza sulu mi fai lu to’ duviri,
sulu da’ cuntu a Ddiju di lu to’ fari,
ccussì dormi tranquillu tutt’i siri…


Nto cori ‘i ll’homu nc’esti ‘na manìa :
chi lu so’ imbu non su varda mai,
non havi chi mmi faci e tuzzulìa,
cu ‘na lanterna va circandu guai !





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