sabato 9 luglio 2016

REGGIO CALABRIA 8 LUGLIO 2016 VISITA ALLA SECOLARE CHIESA DI SAN PIETRO DELLA NOSTRA CITTA'

Qualcuno si è ricordato, dopo tanti anni di letargo, di aprire al pubblico un locale antico che suscita in me motivo di ricordi d'infanzia. Sto parlando della vecchia chiesa di San Pietro di Reggio Calabria che il Museo Diocesano ha deciso, assieme ad altre antichi locali di culto cattolico, di renderla visitabile; chiesetta che ha dato il nome al rione ch'è sorto attorno ad essa ed alle adiacenti carceri, nell'arco di un secolo e mezzo dalla sua costruzione. Chi va a leggere le scritte sul prospetto frontale di questa cappella, perché tale è la sua vera e attuale destinazione, si accorge che la sua edificazione risale al 1853, per volere del sacerdote Pietro Gagliardi, come si evince, ripeto, da due iscrizioni collocate sul prospetto principale.
Questa chiesa è detta rettoriale ( chiesa storicamente importante la quale però non ha una parrocchia correlata) ed è sita in prossimità dell'argine sinistro del torrente Calopinace. Fa parte del territorio della parrocchia di Santa Maria di Loreto; adiacente a essa, appunto e ripeto, sorge la casa circondariale "Panzera" che nessuno conosce sotto questo nome, ma più nota come "carcere di San Pietro".
Sulla fascia della trabeazione (nelle strutture architettoniche è la membratura orizzontale che, sovrapposta agli elementi verticali portanti, serve a collegarli completando la funzione di sostegno delle parti sovrastanti) una prima scritta: "SAC. PETRUS GAGLIARDI FUNDAVIT ET DOTAVIT" (Il sacerdote Pietro Gagliardi costruì e attrezzò...per i non avvezzi al latino)
La seconda, al di sopra del portale: "TU ES PETRUS A.D. 1853 P.G." (Tu sei Pietro, Anno del Signore 1853, P.G.) dove P.G. sta per Pietro Gagliardi.
Nel 1925, al barone Giuseppe Alampi Gagliardi di Monteleone, furono espropriati la casa, il terreno e la chiesa proprio per la costruzione delle nuove carceri giudiziarie e, per questo motivo, il fabbricato religioso rischiò di essere demolito per scopi civili e d'urgenza. Il "povero" Barone morì nel 1926, proprio in occasione dell'abbattimento del primo albero della sua proprietà da parte del genio civile. Nel 1945 l'arcivescovado assunse il diritto di patronato, in parole povere se ne impossessò, poiché i discendenti del barone, sfollati nelle campagne a causa dei pesanti bombardamenti degli alleati, non pensarono a salvaguardarne gli arredi sacri e la chiesetta divenne a tutti gli effetti proprietà della Curia.
La chiesa di San Pietro, assieme alla chiesa della Graziella (inaugurata nel 1691, ma i lavori erano cominciati nel 1641) e alla chiesa di Pepe (costruzione risalente al X secolo) è uno dei più antichi edifici religiosi della città: ha resisto all'azione devastante del terremoto del 1908 e agli eventi bellici della seconda guerra mondiale.
La chiesa, di piccole dimensioni, è a navata unica e sorge su un piccolo sagrato. Il frontale prospettico è a un corpo unico, messo in evidenza da due alte paraste (è un elemento architettonico strutturale verticale, pilastro, inglobato in una parete, dalla quale sporge solo leggermente) con capitelli ionici. Le paraste sorreggono un'alta trabeazione su cui è riportata l'iscrizione latina relativa alla famiglia che la volle costruire. Il coronamento dell'edificio è costituito da un corpo centrale sopraelevato che ospita una piccola finestra, e che si collega al corpo sottostante attraverso un motivo geometrico a forme greche. Questo vano è affiancato da due piccole torri campanarie le cui guglie sorreggono i simboli attribuiti a san Pietro secondo la tradizione cattolica : il gallo e le chiavi.
L'elemento di spicco, ch'è unico, è costituito dal portale lapideo formato da architrave, ed è caratterizzato da un motivo a festoni di stile tardo-barocco che orna la trabeazione. Al di sopra di esso, tra due volute di raccordo ( la voluta è un particolare ornamento geometrico di forma a spirale), è collocata una lapide con la data di edificazione sormontata da un bassorilievo raffigurante San Pietro.
L'interno, a navata unica, termina con un'abside o volta semicircolare, cui si accede attraverso un arco di trionfo sostenuto da due robusti pilastri. Un'alta trabeazione percorre senza soluzione di continuità tutta la navata e il coro. Quest'ultimo, sopraelevato rispetto al corpo dell'edificio, ospita l'altare marmoreo e una statua del Santo di recente manifattura che ha sostituito quella  in cartapesta colorata (quella sostituita è posta a fianco dell'ingresso come ricordo storico). La navata è inoltre illuminata da sei grandi finestre, tre sulla parete di sinistra, tre sulla destra. La pavimentazione in terracotta, così come la copertura in muratura, sono frutto del restauro eseguito tra il 1990 e il 1993, realizzato ad opera del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Prima di questi interventi erano presenti tre altari ottocenteschi di manifattura locale in marmo di più colori, e le pareti della navata erano distinte da una serie di affreschi con decorazione geometrica, mentre la cupola era blu con un firmamento di stelle al cui centro era stato affrescato un triangolo con l'occhio che rappresentava Dio e la Trinità ad opera di un giovane, Giuseppe Dieni, (la cui amicizia, oggi, personalmente mi onora) che negli anni '50 affiancava nei lavori l'attivissimo e dinamico parroco, motociclista, allevatore di uccellini, provetto insegnante di fisarmonica, studioso dei primi elementi di elettronica radio, Don Antonio Focà.
Dell'originario arredo restano: due motivi decorativi collocati sui pilastri in prossimità dell'abside; un'acquasantiera in pietra del XIX secolo, collocata sulla contro facciata e una ringhiera in ferro battuto su cui sono riportate le lettere "Pg". Inoltre è stata rinvenuta una cripta, al di sotto del presbiterio che oggi è completamente murata.
Le foto, dell'8 luglio 2016, che arredano questo mio articolo, danno molto più spazio e completezza alla descrizione storica; fotografie che hanno riempito il cuore di quel ragazzino (il sottoscritto), che avendo abitato, nel dopo guerra, al rione San Pietro ne ha vissuto le tradizioni, le feste e le fiere degli animali che si organizzavamo nell'ambito dell'alveo del torrente Calopinace. Molto particolare la festa che si fece nel 1953 in occasione del centenario della piccola chiesa quì descritta che mi ha ispirato, ormai persona anziana, a descrivere con una mia poesia dialettale di qualche anno addietro, quì allegata, ma pubblicata sul libro " 'A ME' TERRA SI CHIAMA CALABBRIA", proprio quell'occasione storica. 
Questo articolo, di natura prettamente storica-culturale, lo si prenda come notizia per coloro, anche della mia età, che non hanno vissuto quegli anni in questo pacifico rione. Il racconto e le foto non sono approfondimenti religiosi, solo stesure descrittive raccolte dalla memoria orale della mia vecchia famiglia di origine, per parte materna, i Minuto, che hanno sempre abitato nel Vico Ceci, una stradina posta a un centinaio di metri dal retro della chiesa, in senso perpendicolare alla Via Macello, che passa tra le vecchie case coloniche e il muro di cinta delle carceri.

P.S.
Dal commento che è stato inserito, oggi 10 luglio, riapro l'articolo per ampliazione e amore della verità. Infatti scrivo, qualora dovesse sfuggire ai lettori, il testo integrale inviatemi con cortese sollecitudine dall'amico, "il giovane" che aveva dipinto l'occhio di Dio, Giuseppe Dieni. 
"Hanno partecipato alla decorazione interna della chiesetta Ignazio Maugeri e Nino Marino; committente e supervisore il sacerdote Don Antonio Focà. Le foto dell'interno dell'abside e della facciata sono state scattate il 29 giugno 1990 (prima della tinteggiatura come ora appare).Allo stesso Don Focà va riconosciuto il grande merito di essersi sempre tenacemente prodigato per l'ampliamento della piazza antistante la chiesa, trasformando la superficie originaria, angusta, di circa tre metri quadrati, nell'attuale area ampia ed adeguata alla fruibilità dei cittadini. "
Beppe Dieni

Aggiungo, in fondo alla pagina, le ultime due foto inviatemi per e.mail da Peppe, mediante le quali si possono constatare le differenze prima del restauro : nella torre campanaria di sinistra manca la bandierina e la chiave (Prospetto). Le decorazioni interne, pareti con disegni arabeschi e cupola con firmamento di stelle in cui spicca il già citato triangolo trinitario e l'occhio di Dio, spazzate via da un pennello "assassino". Il tutto è stato ridipinto di bianco nel 1993 per il volere, sicuramente, del nuovo, contemporaneo "Leonardo", committente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

                         ‘A FESTA 'I SAN PETRU

               Capiddhi rizzi e gghjanca cammisciola,
               i scarpi ra festa e i casetteddhi blu,
               pantaluneddhi ca' fardeddha 'i fora,
               chist'era un jornu di la me' giuventù.

               Chindici jorna 'i nuvena pacifica
               cu', nto rriuni, tamburu e grancascia,
               piatti di rramu e mazzola "acrobatica",
               un paru i mustazza e 'na fila chi passa.

               Sunnu rricordi pi' n'homu caru,
               chi pi misteri faciva 'u stagninu,
               era ri  Sbarri...'u tamburinaru,
               sicarru nte mussa e 'ncinnava  l'inchinu.

               Era la festa ru Santu Petru,
               purtava la ggioja a tanti figghioli,
               corpa i murtara di prima matina,
               e, nta sciumara, tanti 'nimali.

               S'apriva ‘a fera ri scecchi e di jenchi,
               crapi e ghjaddhini e puru majali,
               genti i rispettu, cappeddhi nta ll'occhi,
               stringivanu i mani ri "tracandali".

               'A missa cantata di primu matinu,
               c'un coru scassatu di fimmini vecchi,
               ognunu priava cu' ll'ostia e cu' vinu:
               o' pranzu pinzava, a 'nu piattu di gnocchi.
                                                                 
               E nta cuntrura, nto Calopinaci,
               nto mpalu ngrassatu c’un circulu i rrobba
               facivanu a "ntinna"  figghioli e bastasi,
               mpicciati ddha supra sciuppavanu 'a corda.
                                                                        
               O tardu ra sira, 'a bbanda sunava,
               e tutt'i figghioli, cu' pipìti e trumbetti,
               sciusciavumu fora juntati di bbava,
               'mitandu lu sonu di chiddhi cchiù 'sperti.

               A notti 'nurtrata, ammenz'a sciumara,
               ballava 'u camiddhu sparandu li fochi,
               la ggenti ccugghiuta, ddha supra, nte mura,
               bbattiva li mani 'e festi finuti.

               'Sta festa finiva e giugnu muriva,
               'a 'stati parrava cu' caddu di lugliu,
               nta Calamizzi s'arriversava
               'u populu i Petru cu' cacchi baragliu.

     
            Traduzione per i non avvezzi al dialetto reggino

                 LA FESTA DI SAN PIETRO

               Capelli ricci e bianca camiciola,
               le scarpe della festa e i calzini blu,
               pantaloncini con un lembo di camicia fuori,
               questo era un giorno della mia giovinezza.

               quindici giorni di novena pacifica
               con, nel rione, un tamburo e grancassa,
               i piatti di rame e la mazzola "acrobatica",
               un paio di baffi e una fila che passa.

               Sono i ricordi di un uomo caro,
               che per mestiere faceva lo stagnino,
               era di Sbarre....il tamburinaio,
               sigaro tra le labbra e accennava l'inchino.

               Era la festa di San pietro,
               portava la gioia a tanti bambini,
               colpi di mortaio di primo mattino,
               e, nel torrente, tanti animali.

               Si apriva la fiera di asini e buoi,
               di capre e galline ed anche maiali,
               gente di rispetto, cappelli sugli occhi,
               stringevano le mani degli "intermediari".

               La messa cantata di primo mattino,
               con un coro stonato di vecchie signore,
               ognuno pregava con l'ostia e col vino...
               al pranzo pensava, ad un piatto di gnocchi.

               Nel primo pomeriggio, nel Calopinace,
               in un palo ingrassato, con un cerchio di alimenti,
               facevano l'albero della cuccagna bambini e vagabondi,
               attaccati la sopra staccavano la corda.

               A tarda sera, la banda suonava,
               e tutti i bambini, con zufoli e trombette,
               soffiavamo fuori onde di bava,
               imitando il suono dei suonatori esperti.

               A notte inoltrata, nell'alveo del torrente,
               ballava un cammello di cartapeste sparando fuochi,
               la gente raccolta, la sopra, sugli argini,
               batteva le mani alle feste terminate.

              Questa festa terminava e giugno moriva,
              l'estate parlava col caldo di luglio.
              e a Calamizzi * si riversava          
              il popolo di Pietro con qualche sbadiglio

            * spiaggia libera così denominata sotto il rione ferrovieri


Salvatore Marrari 8 luglio 2016
























































   QUESTE DUE FOTO IN BASSO, SONO STATE AGGIUNTE OGGI, 10 LUGLIO 2016,        
   INVIATEMI DAL GENTILE AMICO GIUSEPPE DIENI


   


Riapro l'articolo per inserire le foto del concerto del coro polifonico San Paolo diretto dalla maestra Carmen Cantarella svoltosi sulla scalinata della chiesa nella sera del 14 luglio 2016

















2 commenti:

  1. Anonimo10 luglio 2016 05:53
    Hanno partecipato alla decorazione interna della chiesetta Ignazio Maugeri e Nino Marino; committente e supervisore il sacerdote Don Antonio Focà. Le foto dell'interno dell'abside e della facciata sono state scattate il 29 giugno 1990 (prima della tinteggiatura come ora appare).Allo stesso Don Focà va riconosciuto il grande merito di essersi sempre tenacemente prodigato per l'ampliamento della piazza antistante la chiesa, trasformando la superficie originaria, angusta, di circa tre metri quadrati, nell'attuale area ampia ed adeguata alla fruibilità dei cittadini.
    Beppe Dieni

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  2. Mi fa piacere che la Chiesa di San Pietro sia tanto amata dai reggini; mia nonna Antonietta Alampi Gagliardi si è sposata lì nel lontano 1911. Purtroppo non abitando a Reggio ho sempre trovato la chiesa chiusa. Spero che continuiate a conservala bene

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