sabato 27 novembre 2010

11 novembre 2010 - Commemorazione di Matteo Paviglianiti

Ieri, 11 novembre 2010,( è passato da circa un'ora e mezza) ricorreva la data
in cui il poeta e filosofo socialista Matteo Paviglianiti, nato l'1
maggio 1874, mio prozio, fratello di mia nonna paterna, moriva...erano
circa le 16,30.L'indimenticato Matteo Paviglianiti ha dedicato 
la sua vita al lavoro di barbiere, alla ...poesia
dialettale ed all'allora emergente politica socialista. Autodidatta, ma
finedicitore e filosofo, cantore in positivo della realtà geografica
reggina, Matteo era un fedele, non ecclesiastico, del buon Dio presente
in ogni suo verso. Le sue pubblicazioni, oggi conservate alla biblioteca
comunale della città, sono "U specchiu da vita" e "Lacrimi". Fu tra gli
otto fondatori del Partito Socialista di Reggio Calabria, ove si
riunivano come cooperativa "Vittorio Veneto" e, successivamente, "La
Vittoria", nella "Piazzetta", oggi "Piazza Italia". Il suo salotto era
quella parte della città che va dal Calopinace sino a Piazza Camagna e
nel suo negozio sito in Via Apromonte n° 10 (la strada che da piazza
Garibaldi porta ai mercati generali). Quì, nei Bar Giorgio( 'u bar du'
pupu chi ddhiccava 'u gelatu), accanto alla casa delle bibite
"Quattrone" ( famosa pi' cazzusi ca' pallina) e Margheriti, entrambi di
fronte alla Villa Comunale Umberto Primo, s'incontravano gli
intellettuali del tempo ed il poeta veniva attorniato da giovani
emergenti quali : Nicola Giunta, Franco Saccà, Domenico Martino,
Giuseppe Morabito, Gaetano Cingari, i professori,cugini, Francesco De
Stefano(barbitta) e Domenico De Stefano (insegnate di lettere e
filosofia), autore, tra l'altro, di un libro del 1949 intitolato "La
poesia di Matteo Paviglianiti". Con Nicola Giunta, ventuno anni più
giovane, era nata un'amicizia seria e burlona, caratterizzata da una
serie di aneddoti, che durò quasi mezzo secolo, sino alla morte del
poeta, occasione ultima per Giunta e Cingari, per tenere entrambi il
discorso di estremo saluto per l'amico e ispiratore, là in Piazza
Castello, dove i Socialisti avevano portato ed accompagnato il feretro
dal ponte Calopinace(abitazione del defunto), percorrendo quella parte
di Corso Garibaldi che era stata il "Salotto di Don Matteo". Quivi tutti
i proprietari degli esercizi pubblici, al suo passaggio chiusero i
negozi in segno di lutto, commentando, in lacrime, la perdita di un
grande amico che usava verseggiare al loro incontro. C'è da dire che il
prete pro tempore, della vecchia chiesa del Sacro Cuore, non volle
benedire la salma ne presenziare ai funerali perchè il defunto era
socialista. I compagni di partito, allora, dirottarono i funerali sino a
Piazza Duomo, come una scena da film di "Don Camillo e l'Onorevole
Peppone". Erano di quelle cose che, facilmente, accadevano nella vita
pratica, ma senza la minima violenza, sta di fatto che Matteo
Paviglianiti fu "purgato" in vita e in morte, nella clandestinità della
Piazzetta e nel suo trapasso. Dopo tanti anni dalla scomparsa, i reggini
lo ricordano ancora per quello che il poeta era : un uomo mite e buono,
solo coi suoi pensieri di gioventù, quando aveva amato Elena Stracuzzi,
gentil donna costretta poi, dalla famiglia, a maritarsi ad un
sottufficile di cavalleria ed a vivere a Pinerolo. Questo tra gli altri
suoi dolori, guerre e terremoto del 1908 che gli fecero perdere parte
dei suoi familiari, lo resero cardiopatico, non sposò e tenne, nella sua
cameretta, una piccola foto della sua donna che non dimenticò mai. Alla
domanda perchè non si fosse più accasato rispondeva che la sua unica
fidanzata era morta di tubercolosi ed aveva inteso renderle onore
rimanendo scapolo e devoto sino alla morte. Nel 1960, Elena, rimasta
vedova, ritorna a Reggio Calabria, lo cerca presso il nipote Domenico
Marrari(mio padre), ma non può far altro che constatare che il suo
Matteo era già passato a miglior vita. Il tempo affievolisce i dolori di
Don Matteo, un uomo di grande energia mentale, dall'aspetto
pirandelliano, prima di morire lasciò un biglietto sul comodino : "
Amore, carità e perdono sono la mia fede", parole che si possono
leggere, ancora oggi, sullo sbiadito marmo della sua tomba nel cimitero
di Condera in Reggio Calabria.

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